Si nasconde una sorpresa dietro quella porta cui si accede da uno dei tipici cortili milanesi, nella centralissima via Bagutta. Poche stanze trasformate in uno scrigno dove è accolta una sequenza di capolavori del Quattrocento italiano. Opere sfolgoranti e preziose raccolte dal padrone di casa, l’antiquario Carlo Orsi. Solo una questione di luce è il titolo che è stato dato a questa piccola mostra (via Bagutta, 14).
La luce è quella che sfolgora sulla tavola con il Cristo risorto di Ambrogio Bergognone, scomparto centrale di un polittico i cui pezzi sono dispersi tra musei (uno anche a Philadelphia) e collezioni private: immagine di un candore affettuoso, vera icona popolare. La luce è quella dell’oro dipinto e puntigliosamente punzonato con decorazioni floreali dei due santi di Zanetto Bugatto, altro maestro lombardo, a cui tutti siamo debitori per quel capolavoro di grazia e di sentimento che è la Madonna Cagnola, conservata a Villa Cagnola a Varese.
Ma la luce è soprattutto quella limpidissima e del tutto naturale che “bagna” l’opera più sorprendente e indimenticabile di questa piccola rassegna: La presentazione di Gesù al tempio di Donato de’ Bardi. Chi è Donato? È un artista di cui si sa poco, rivelato da Roberto Longhi in occasione di una storica mostra milanese del 1958 e la cui personalità è stata poi studiata in modo magistrale da Federico Zeri. Era nato a Pavia ma aveva lavorato soprattutto in Liguria: a Savona è conservata una sua Crocifissione, tra le opere più importanti e indimenticabili del Quattrocento settentrionale. Questa Presentazione al tempio non è da meno, perché come scrive Mauro Natale, storico dell’arte, nel testo in catalogo siamo di fronte a “un’opera cardine della prima metà del ’400”.
La sinagoga immaginata dall’artista è in realtà una bellissima chiesa di impronta molto ligure per via di quelle pietre bianche e nere che si alternano a disegnare gli archi nelle due navate e anche le nervature della crociera. Tre finestrelle sottili con vetri a cerchio come fondi di bottiglia, fanno filtrare una luce dolce e sottile dal fondo. Ma quella calda che invece illumina la scena viene da sinistra, da una finestra che è fuori scena. È importante parlare della luce, perché è l’elemento che per primo ci viene incontro; è pacificata, calma, di una normalità che ci fa sentire subito a casa. L’artista ha dipinto un grande arco che prende tutto il perimetro della tavola in primissimo piano. È un dispositivo semplice e stupendo grazie al quale lo spazio in cui avviene la scena sembra docilmente allungarsi nella nostra direzione. Una soluzione opposta a quella formidabile e tranchant messa in atto invece da Mantegna (e replicata dal giovane Bellini) nel suo capolavoro di qualche decennio dopo.
Siamo davanti ad un’opera caratterizzata da una poetica inclusiva. I protagonisti sono lì, a portata di mano, in uno spazio che affettivamente sentiamo appartenerci. C’è una stupenda aria di normalità, densa di sentimento e di emozioni trattenute, a partire da quelle del vecchio Simeone. Tra tanti dettagli uno in particolare è indimenticabile: Giuseppe se ne sta in seconda fila alle spalle di Maria e si sporge ruotando il collo per cercare di vedere meglio la scena. È proprio il caso di dire: Giuseppe uno come noi.
La festa della Presentazione al tempio cade il 2 febbraio, a 40 giorni dal Natale. Andare a scoprire questo quadro è un bel modo di viverla.
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