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Home » Cultura » Arte » ARTE/ Van Gogh, il lato fascinoso della debolezza

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ARTE/ Van Gogh, il lato fascinoso della debolezza

Domenico Bilotti
Pubblicato 23 Luglio 2020
Van Gogh, Terrazza del Caffè la sera (1888), particolare

Van Gogh, Terrazza del Caffè la sera (1888), particolare

Non c’è il blu senza il giallo e senza l’arancione. L’artigiano, la libertà negata. Una malinconia che investe tutto. Ritratto di Van Gogh

Esistono analisi, mano a mano più dettagliate, che documentano lo scarto tra il recepimento di Vincent Van Gogh (1853-1890) presso i contemporanei e la sua fortuna attraverso i posteri. Questi pur interessanti volumi monografici hanno il pregio di rimarcare le difficoltà di una condizione di vita, ma l’ineliminabile sensazione conclusiva è che la restituiscano con un senso di pietismo pettegolo, di inarginabile desolazione individuale e morale. Quasi come il Sisifo di Camus è bene da vedere felice, così il Van Gogh di Van Gogh è ogni tanto giusto vederlo trionfante. Il pittore è innanzitutto un valentissimo esercitatore di se stesso, forse più tirannico che metodico. Chi lascia oltre novecento dipinti e più di mille disegni non è un signore strambo che si è svagato, ma un rigido conquistatore del suo spazio di autonomia e creatività. Lo dimostra che muovesse da una concezione fondamentalmente olistica del colore. Ricordiamo il suo monito, che lungi dall’essere severo, è inno timido alla pastosità: non c’è il blu senza il giallo e senza l’arancione.


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C’è in Vincent un doppio morso incrociato al fondo della sua anima prima ancora che della sua bocca: il senso del dovere (l’artigiano apprendista del suo stesso opus inceptum) e il senso dell’impossibilità (la libertà negata come costrizione in re ipsa, non come potenzialità inespressa). Eppure, nella malinconia sgorgantene, Van Gogh è tutto fuorché un presule della mala sorte. È un sincero partigiano del lato fascinoso della debolezza. Più che un cristiano anonimo, per usare la definizione di Rahner, è un fedele militante aristotelico della natura relazionale dell’umanità. Così relazionale, addirittura, che non tutto di quella relazionalità riesce a farsi comunicare.


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Ed ecco allora l’irredimibile promessa malinconica dell’arte: portare a galla esattamente quel frammento nascosto. Come scriveva nel 1888: si può bere il proprio goccio e fumare la propria pipa. Disegnare un universale di enormi moti d’anima in piccoli spazi. Lo prova la “Terrazza del Caffè la sera”: un ritrovo di Arles che ci si restituisce tale e quale alla chiusura dei tavolini al rinomato pub Le Consulat a Montmartre. Ce lo dice “La notte stellata sul Rodano”, con tutte le sue corpose stelle inespresse di angoli luccicanti e sfere di fuoco.

Studioso, Van Gogh, che non lo si dice abbastanza. Studioso senza sconti per sé: nel tardo Ottocento europeo in cui orientalismo è troppo spesso apologia del colonialismo, ecco il “Ramo di mandorlo fiorito”, così meravigliosamente suo e così grandemente erudito da essere più giapponese dei giapponesi. E quanta malinconica sobrietà nel semicontemporaneo “Autoritratto con l’orecchio bendato”? Non vediamo il furioso orecchio reciso o l’estremamente dolente volto deformato: Van Gogh ci mostra il compianto del danno fatto(si). Non c’è nessun d’Annunzio buttatosi dal balcone qualche decennio dopo. Lo sguardo della malinconia è una pentecoste laica: sgrana d’immenso l’infinitesimale, riduce a contatto vicino l’eterno (basti pensare alle pagode del ricordo che proustianamente emergono nella piccola chiesa di Auvers, dove Dio e il ricordo sono facce della stessa medaglia). 


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Profeta vero questo piccolo genio dei baci dati, degli schiaffi presi e dei baci da dare. Il suo “Caffè di Notte”, con le sedie da asciugare e gli avventori che etimologicamente non sanno andarsene, è quanto di più simile ai nottambuli di Edward Hopper del secolo successivo; senza “La ronda dei carcerati” il pessimismo di Mario Mafai non si sarebbe mai fatto tela. Il “Frutteto in fiore” è una memorabile antologia di perfezione tecnica.

Sulle orme del sentire spinoziano, Van Gogh sembra dirci che se Dio è amore e la natura è Dio, ancor più è vero che la natura è amore. E l’amore che si genera dalla tempra melanconica non è solo l’anello di fuoco cantato da Cash: è una fiaccola sempre accesa. I fiumi tra Francia e Belgio possono esondarci di sopra, ma intanto lei torna a raccontarci che blu non è blu senza l’arancione ed il giallo.


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