L’attentato al premier slovacco Robert Fico non si sottrae alla consueta domanda: a chi giova? Per un momento mi permetto di sfuggire a questo interrogativo classico, introdotto dal grande Seneca, e certo utile a individuare il mandante.
Un attimo, fermiamoci. Incentrare l’analisi geopolitica sull’a-chi-giova rischia di allontanarci dalla questione più seria e grave: si può uccidere? Ci può essere una buona ragione per cui sparare a un leader diventa lecito e persino necessario?
Oggi tutti i leader del mondo, dei contrapposti fronti, si dicono “scioccati” dal fatto e lo condannano: da Biden a Meloni, da Putin a Zelensky, da Macron a Orbán, usano tutti le stesse parole. E si dichiarano solidali con l’uomo che si dibatte tra la vita e la morte, vicini alla famiglia e al suo popolo. Mentono? Praticano la retorica della convenienza? In realtà essi – siano tutti più o meno sinceri – sanno però che esiste al fondo di loro stessi e di ciascuno dei loro interlocutori un giudizio originario, che precede l’ideologia, su quanto sia preziosa la vita di ogni persona, e che esiste un livello della coscienza della gente comune che non accetta la logica dell’omicidio, neppure per una supposta buona causa.
Dunque è il tempo giusto, se mai ce n’è uno, per dire: nessuna uccisione giova alla pace. Nessuna guerra “giova alla pace”. A chi giova attentare a Mr. Fico? A nessuno! Fa precipitare un millimetro in più verso l’abisso l’intera umanità. La risposta dev’essere proprio questa. Bisogna avere il coraggio di guardare al fatto in sé, al male che è intrinsecamente davanti ai nostri occhi. Da qui può e deve partire l’analisi geopolitica, che non ne viene affatto svilita. Esiste infatti la necessità di declinare il giudizio essenziale nella situazione contingente. Sono due momenti che non vanno tenuti separati. Sono certo distinti, ma guai a cambiare la tavola dei valori nel passaggio dal giudizio su uno specifico fatto omicida (choc, sgomento, condanna) e quello sul contesto di guerra che alla fine è un continuo susseguirsi di omicidi, dove certo ci sono aggressori e aggrediti, ma il sangue versato da ambedue i fronti “grida vendetta al cospetto di Dio”, e accusa l’incoscienza di chi nulla fa per impedire che la strage continui. L’appello inesorabile, instancabile, fremente, di papa Francesco – in totale coerenza con i predecessori – ad una tregua delle armi, l’invito perché la diplomazia trovi strade creative ad una soluzione che mitighi il dolore degli inermi, si pone esattamente in continuità non solo morale ed esistenziale, ma persino geopolitica, con il non-uccidere. Un ordine mondiale, che mai sarà perfetto, ma esprima l’anelito di concordia e di pace che sta al fondo di ogni popolo, può trovare forma solo nella condanna della violenza senza se e senza ma, e nelle decisioni conseguenti dei capi delle nazioni.
Ed eccoci con lo sguardo sulla Slovacchia, Paese di 5,5 milioni di abitanti. Robert Fico non è amato dalla stampa internazionale. In certe ricostruzioni della sua storia umana e politica già consegnate ai quotidiani online in queste ore non si nasconde il disprezzo nei suoi confronti, l’idea che puntasse alla autocrazia. Si sottolinea il suo cinismo, l’“avidità di potere”, si stigmatizza la sua appartenenza allo schieramento dei leader occidentali più vicini a Putin. Fico, giovane comunista al tempo della caduta del muro di Berlino, ha saputo poi indossare parecchie divise e sventolare bandiere di colori alternativi. Fondatore del Partito socialdemocratico (Smer-SD) oggi è qualificato populista di sinistra. Considerato il premier dell’Unione Europea più vicino a Orbán, non vuole che si consegnino armi agli ucraini.
Dimessosi nel 2018, travolto dalle polemiche per certe sue ambiguità – vere o supposte – a proposito dell’assassinio del giornalista Ján Kuciak che aveva investigato sulla penetrazione della ’ndrangheta in Slovacchia, era tornato imprevedibilmente al potere lo scorso anno. Si dichiara insieme favorevole alla democrazia ma non a quella liberale. Il killer, subito fermato dopo aver sparato a Fico, in compenso è un poeta e scrittore, militante progressista, forse in passato agente di sicurezza e poi fondatore di un partito non-violento. Per mesi a Bratislava si sono succedute in piazza manifestazioni antifasciste. L’antagonismo si è radicalizzato durante le elezioni presidenziali che hanno visto trionfare il candidato di Fico, anche se con posizioni più moderate, Peter Pellegrini, di ascendenze italiane, il quale non è ancora entrato in carica.
Non c’è leader neppure locale, di destra o di sinistra, che non si dica sdegnato per l’attentato a Fico. Ma a chi giova? A nessuno! Servisse almeno a un esame di coscienza fermando la spirale dell’odio. Ma è difficile, spes contra spem.
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