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Home » Food » BAR E RISTORANTI/ La chiusura di Natale e Capodanno è costata 700 milioni di euro

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BAR E RISTORANTI/ La chiusura di Natale e Capodanno è costata 700 milioni di euro

Manuela Falchero
Pubblicato 6 Gennaio 2021
Lapresse

Lapresse

Il settore archivia il 2020 con un pesante calo del 37%, che nelle Regioni “rosse” arriva a raggiungere anche il 70%

Il grido d’allarme lanciato nel corso degli ultimi mesi dagli esercenti di bar e ristoranti, alle prese con le lunghe serrate imposte dall’emergenza sanitaria, si traduce in numeri impietosi e inequivocabili: nel solo periodo di Natale e Capodanno si stima che le limitazioni imposte dal Covid abbiano comportato una diminuzione di fatturato pari a 700 milioni di euro, l’1% circa del totale annuo del settore. E non va meglio se si guarda all’intero anno, dove la perdita è stimata in 27 miliardi di euro. Il che, in altri termini, significa una flessione netta del 37% rispetto al 2019, che arriva fino al 70% nelle Regioni “rosse”.


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I dati, elaborati dalla società di consulenza Bain & Company, mettono insomma in luce la gravità delle ferite generate dalla pandemia sul comparto dei consumi fuori casa. E puntano il dito contro l’ultima parte dell’anno. Dopo i 16 miliardi di euro lasciati sul tappeto nel primo semestre – chiarisce l’indagine -, grazie a una ripresa superiore alle aspettative nei mesi estivi, il terzo trimestre si era chiuso con una flessione più contenuta rispetto al primo quadrimestre, compresa tra il 15% e il 20% rispetto al 2019; nel quarto trimestre, tuttavia, il riaccendersi dei contagi, le conseguenti misure restrittive e le chiusure anticipate dei locali hanno portato a un nuovo, brusco calo del fatturato. Su bar e ristoranti si è abbattuta una vera e propria scure che ha significato una caduta verticale del 45% del giro d’affari rispetto allo stesso periodo del 2019. “Purtroppo l’estate con risultati superiori alle attese è stata pagata con gli interessi dalla tanto temuta seconda ondata”, commenta Duilio Matrullo, Partner di Bain & Company.


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Crisi da Covid, aree urbane, le più colpite

Va detto però che l’impatto del Coronavirus non è stato omogeneo in tutto il Paese. A soffrire in modo particolare – rileva sempre lo studio di Bain & Company – sono state le grandi città, dove le flessioni hanno raggiunto il 30-40%. Sotto accusa ci sono principalmente due fattori: la significativa contrazione del turismo e la diffusione dello smart working. “Gli italiani – spiega Aaron Gennara Zatelli, Associate Partner di Bain & Company – hanno sfruttato la flessibilità del lavoro agile per evitare il pendolarismo nelle grandi città o addirittura per trasferirsi temporaneamente in provincia. E questo ha penalizzato le occasioni di consumo legate alla frequentazione della sede aziendale come il pranzo di lavoro o la pausa caffè, che hanno invece premiato aree più periferiche”.


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Attività a rischio con nuovi lockdown

Il peggio tuttavia potrebbe ancora dovere arrivare. Se infatti si dovessero prospettare ancora molti mesi di attività in “zona gialla” o peggio ancora in “zona rossa”, si dovrebbe ipotizzare un consolidamento di perdite compreso rispettivamente tra il 40% e il 70% rispetto ai valori del 2019. E questo potrebbe mettere in serio pericolo la sopravvivenza di tante attività che fino a oggi avevano resistito. “In un settore con una grande incidenza di costi fissi – spiega Sergio Iardella, partner di Bain & Company -, il combinato disposto di un calo di fatturato di 27 miliardi euro nel solo 2020 e di una soluzione ancora lontana della pandemia potrebbe mettere in ginocchio migliaia di piccoli imprenditori e i loro dipendenti. I ristori erogati nel 2020 e già approvati per il 2021, infatti, rischiano di non essere sufficienti. Senza contare poi che l’impatto sarà drammatico anche su tutta la filiera a monte, dai distributori alle aziende dell’agroalimentare, storico fiore all’occhiello della nostra economia. Mai come nei prossimi anni sarà dunque necessaria una risposta di sistema. Come pure sarà necessario un impulso coordinato a progetti di consolidamento, efficientamento e digitalizzazione della filiera, magari facendo ricorso anche ai fondi del Recovery Fund”. La posta in gioco del resto è alta: i consumi fuori casa valgono oltre 4 punti di Pil e nel 2019 hanno dato lavoro a 1,2 milioni di addetti. 


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