Il film di Steven Soderbergh "Black Bag - Doppio gioco" punta di più sull'amore più che sullo spionaggio
Tra i registi statunitensi che più si sono rigenerati durante e dopo la pandemia, sviluppando metodi produttivi e distributivi sostenibili, diversificando i prodotti e riflettendo sulle innovazioni tecnologiche, Steven Soderbergh gioca sempre tra flusso mainstream e indipendenza estetica, generi e sperimentazione. L’ultimo parto della sua vivace creatività è Black Bag – Doppio gioco, un chiaro esempio di questa sua bifrontalità.
Protagonisti sono due agenti speciali britannici, George (Michael Fassbender) e Kathryn (Cate Blanchett), sposati da anni che si trovano coinvolti in un intrigo riguardante un software segretissimo. Kathryn e altri tre colleghi sono sospettati e George dovrà cominciare un gioco psicologico per scoprire il responsabile della fuga.
Scritto dal veterano David Koepp (all’attivo script per Spielberg e De Palma), Black Bag – Doppio gioco è una spy-story mescolata a una curiosa forma di dramma sentimentale, in cui i dialoghi e la struttura investigativa costruiscono la suspense per raccontare di un amore insolito, ma a suo modo romantico.
Infatti, oltre al thrilling, ciò che interessa a Soderbergh è tessere i fili di una ragnatela di relazioni che il mondo intorno punta a distruggere, come se il mondo funzionasse meglio con l’umanità solitaria, e mostrare due resistenti, che hanno trovato un curioso e complicato modo per stare al mondo e sovvertire gli obiettivi della società in cui vivono.
Black Bag – Doppio gioco, quindi, crede nell’amore più che nello spionaggio, non a caso si apre e si chiude con due sequenze speculari che paiono Perfetti sconosciuti scritto da Le Carré, ma curiosamente il film non si accende mai di passione, resta freddo e ingessato nella recitazione (Blanchett pare una caricatura più che un vero personaggio), nelle ponderate scelte di stile e messinscena, nei calcolatissimi movimenti di camera, nella musica fredda, calcolatrice e monotona come il tono dell’intera opera.
Il nostro dubbio è che queste scelte non siano davvero coerenti con ciò Soderbergh vorrebbe raccontare, con ciò che il film vorrebbe essere e che lo anestetizzino dietro la patina di un lusso visivo e una cerebralità che gli gioca contro in più di un’occasione. E spiace dirlo, crediamo sia il principale limite di Soderbergh come autore.
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