Ieri un raid israeliano ha colpito la parrocchia latina di Gaza. Otto persone sono morte e 9 ferite. Una lettera di chi era sionista e ora non lo è più
Questa mattina (ieri, ndr) ho visto la notizia che la parrocchia cattolica della Sacra Famiglia nella città di Zeitoun a Gaza è stata attaccata dall’esercito israeliano, causando la morte di tre persone e il ferimento di altre nove, tra cui un mio vecchio conoscente, padre Gabriel Romanelli, un sacerdote argentino che ha dedicato la sua vita al servizio di Cristo tra i palestinesi.
Da un lato, che tipo di notizia è questa, tre morti e nove feriti tra i tanti, tanti morti e feriti in questo continuo massacro da parte di Israele a Gaza? Dall’altro lato, come cattolico impegnato, sacerdote missionario e persona che ha trascorso sei anni al servizio di varie parrocchie palestinesi in Cisgiordania, mi colpisce profondamente.
Mi colpisce anche a un altro livello. Un tempo ero sionista. Ora non lo sono più. Permettetemi di ripercorrere brevemente questa evoluzione.
A tavola, mia madre ebrea (il che mi rende ebreo dal punto di vista etnico, poiché gli ebrei tracciano la loro discendenza attraverso le madri, non i padri) ci spiegava cosa ci sarebbe successo sotto la Germania nazista. Saremmo stati uccisi. Ci raccontava storie di ebrei coraggiosi che avevano fondato Israele appena dieci anni prima della mia nascita e lodava i grandi esperimenti di vita comunitaria nei kibbutz, le colonie socialiste presenti in quella zona.
Poi, con il passare degli anni, mi sono state raccontate molte storie di palestinesi che volevano uccidere persone come me. La morte dei sollevatori di pesi israeliani (tutti ufficiali militari) alle Olimpiadi di Monaco del 1972 in uno scontro con i palestinesi è stata un’esperienza traumatica. Più tardi, visitando il campo di concentramento di Dachau, fuori Monaco, ho provato indignazione e ho fatto mio lo slogan sionista “Mai più”.
Gli anni trascorsi lavorando e studiando nel mondo arabo, tuttavia, mi hanno dato una visione più sfumata. Così, nel 2006, quando sono arrivato a Betlemme, in Cisgiordania, in Palestina per lavorare, ho pensato, dopo una vita passata a studiare la situazione, di aver capito fondamentalmente cosa stava succedendo. Pensavo che Israele volesse la pace, ma che la popolazione palestinese, avendo subito gravi ingiustizie durante la fondazione di Israele nel 1948, non potesse accettare la nuova realtà e non potesse giungere a un accordo di pace duraturo.
Mi sbagliavo. La situazione era diversa. Era chiaro a chiunque vivesse in Cisgiordania che, attraverso le sue colonie e l’esercito, Israele stava conquistando pezzo per pezzo questo territorio palestinese per farne parte del proprio territorio nazionale. Volevano tutta la terra e volevano che la popolazione se ne andasse.
Avevo passato anni a presentarmi come un “esperto” equilibrato sulla questione palestinese, spiegando a tutti quanto Israele si fosse impegnato per la pace. Mi dispiace profondamente di averlo fatto.
E ora ci troviamo di fronte alle uccisioni estreme a Gaza, che, non per la prima volta, hanno preso di mira la parrocchia cattolica, come incoraggiamento a trasferirsi nei nuovi campi di concentramento. Perché?
Perché, come ha detto in una recente intervista il professor Amos Goldberg, esperto ebreo di studi sul genocidio all’Università Ebraica e residente da sempre a Gerusalemme: “La guerra non è contro Hamas, e non è mai stata contro Hamas. È contro i palestinesi di Gaza, e ora lo vediamo chiaramente davanti ai nostri occhi. La politica non è quella di espellere Hamas, ma di espellere tutti i gazawi”.
Questa è stata anche la mia scoperta. Il sionismo mira a liberarsi della popolazione palestinese. Non si tratta di terrorismo o di terroristi. Si tratta di un’ideologia che non lascia spazio a chi non è ebreo.
Posso comprendere l’angoscia nel cuore del professor Goldberg quando dice: “Non volevo vederla come un genocidio. Volevo credere che fossimo capaci di molte cose, ma non del genocidio. Ma eccoci qui. È un genocidio. È un genocidio molto, molto crudele e atroce”.
Siamo stati ingannati perché volevamo essere ingannati. Volevamo pensare che queste persone dall’aspetto europeo, democratiche e istruite, fossero quelle di cui dovevamo fidarci e con cui volevamo essere amici. Abbiamo guardato i palestinesi attraverso i loro occhi e abbiamo pensato che queste persone dalla pelle scura, che non condividono la nostra cultura o religione, fossero quelle spaventose che non hanno i nostri valori.
Ma come dice Golberg nella sua dolorosa confessione: “Ora siamo arrivati al punto in cui il governo israeliano e gran parte della popolazione ebraica in Israele pensano di avere la soluzione finale al problema palestinese, almeno a Gaza”. Queste sono conclusioni che fanno eco al lavoro documentato dello storico israeliano Ilan Pappé.
Dovremmo tutti rabbrividire nel sentire questo professore israeliano parlare della soluzione finale. Mi dispiace di averne fatto parte. Non voglio più esserne parte.
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