Brusca, uno degli autori della strage di Capaci, è tornato libero anche grazie ad una legge voluta da Falcone. Qualcuno lo vorrebbe morto o all'ergastolo
La notizia fa discutere ed ha riaperto un dibattito mai sopito sulla sua figura. Giovanni Brusca è libero perché sono trascorsi i 4 anni di libertà vigilata impostigli dalla magistratura di sorveglianza, e quindi, proprio in forza di una legge voluta da Giovanni Falcone, in qualità di collaboratore di giustizia torna ad essere libero seppur sottoposto a tutela e sotto falso nome in una località segreta.
Immediatamente sono scattati i commenti di tanti più o meno coinvolti o vittime delle vicende di mafia. Tutti si sono trincerati dietro la necessità di applicare una legge, quella appunto sui collaboratori di giustizia, pur esprimendo vivo dissenso sulla sua adeguatezza. In sintesi, tutti gradirebbero l’ergastolo, visto che non è previsto da noi la pena di morte.
Ma perché prevale questa concezione della giustizia ? Certo la pena di morte non esiste, ma quante forme surrettizie esistono? L’ergastolo è una forma più moderna, ma nell’immaginario collettivo ha la stessa funzione: esorcizzare, dimenticare, evitare di assumersi qualunque responsabilità nei confronti di chi, pur essendosi macchiato di pene orribili, è ancora fra noi.
La società afferma di essere contro la pena di morte, però è possibile ed accade, soprattutto attraverso i media, che si condannino a morte le persone, cioè si tolga loro la speranza. Poiché per queste persone non è prevista la pena di morte, quale percorso si può e si deve offrire loro? Vogliamo costruire dei percorsi per cui queste persone possono riprendersi in mano la vita?
Don Marcello Cozzi è un prete lucano impegnato sul versante dell’educazione alla legalità e alla giustizia, nel contrasto alle mafie. Tutto ciò gli è consentito di incontrare e accompagnare tanti pentiti di mafia e testimoni di giustizia. Intervistato da questo giornale non molto tempo fa per evidenziare la complessità di questo tema, richiamò la figura di Caino e Abele.
Nell’occasione disse: “Che possibilità possiamo dare a Caino perché possa riprendersi in mano la vita? Io capisco che è quasi impossibile fare incontrare Caino con Abele, lo capisco per rispetto di Abele, però Caino mi appartiene”. Ecco, il tema è proprio questo: rifiutare la figura di Caino, perché Caino non ci appartiene.
Incalzato dalle nostre domande poi precisò: “Nella nostra società manca la cultura della seconda possibilità . Questa è una società che culturalmente propende molto di più verso l’idea di metterli dietro le sbarre e buttare a mare le chiavi, perché è molto più semplice e comodo per tutti. È più semplice perché così non investi, non ti assumi responsabilità, davanti alla persona che hai davanti, che ha puro sbagliato; ma la vera scommessa è proprio questa”.
Nel libro di don Marcello Cozzi Uno così. Giovanni Brusca si racconta , Brusca, dopo avere ammesso l’efferatezza dei delitti commessi, spiega perché questo non soddisfa nessuno. “L’ho fatto nei processi, l’ho fatto in varie interviste, ma non è servito a nulla. Alla società questo non basta. E quindi ad un certo punto ho scelto la linea del silenzio. Perché mi sembrava rispettoso nei confronti del dolore delle vittime”. Dice più precisamente: “per evitare di essere strumentalizzato”. Quindi nemmeno la linea del silenzio viene accettata. Qualunque cosa fai, agli occhi della società quel male te lo porti incancrenito dentro per sempre.
Sono assolutamente comprensibili i commenti odierni di quanti direttamente hanno subito morti e privazioni dai comportamenti delittuosi di Brusca. Forse lo sono un po’ meno quelli di quanti non hanno partecipato a queste tragedie, ma le hanno viste solo in televisione.
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