Da Verona a Verona. Ci eravamo lasciati appena qualche mese fa (era il 16 maggio) allo stadio Bentegodi con lo striscione “chi tifa Roma non perde mai” e un sogno scudetto paurosamente vicino poi infranto dal vantaggio interista a Siena. Ventimila romanisti sugli spalti, uno stadio amico e una partita chiusa dopo i primi 45 minuti. Ricordi ed emozioni d’almanacco. Sabato 4 dicembre, con il Natale alle porte e una stagione tutt’altro che calda, il Bentegodi si ritrova affollato di soli 20 romanisti (causa tessera del tifoso) più altri 10mila supporters clivensi.
I giallorossi sono sbarcati a Verona con il peso dei tre cannoli siciliani, alleviato dai recuperi di Vucinic e Taddei. Su un campo di fango ai limiti dell’impraticabilità (“sembrava una partita di beach soccer”, ammette Ranieri), la Roma ha illuso tutti dopo i primi 45 minuti con un due a zero secco. Doppietta del simpatico e tenace Fabio Simplicio, un vantaggio tondo e ben confezionato, di quelli che preannunciano un weekend di serenità.
‘. Il bottino di Simplicio non è però bastato a sopire l’animo battagliero del Chievo che, rientrato in campo letteralmente rinato, ha pattinato a meraviglia sul campo di sabbia e fango scardinando i meccanismi di una Roma arrendevole e incerta. I giallorossi si sono difesi ad oltranza (Mexes è da medaglia) senza riuscire a costruire gioco nè ad uscire in maniera stabile dalla propria metà campo. Ci ha provato l’instancabile Matteo Brighi che, però, non ha raccolto la solidarietà dei suoi. Le incursioni di Constant, gli scatti di Pellissier e gli attacchi di Moscardelli hanno gonfiato il petto ai padroni di casa. Dapprima con il gol del trentenne romano e romanista, poi con il guizzo furtivo di Granoche, talentuoso protagonista dell’ennesima rimonta ai danni della compagine giallorossa.
. La crisi dei secondi tempi è tornata implacabile e presenta un conto salatissimo che si aggiunge al bilancio delle trasferte giallorosse: tre punti (derby escluso) raccolti dalla Roma lontano dall’Olimpico. E questa volta l’alibi del campo, pur inammissibile per una competizione di serie A, non giustifica gli errori di una squadra vittima di se stessa prima che dell’avversario. Già la scelta della formazione aveva destato qualche mal di pancia tra tifosi e addetti ai lavori: in panca una sfilata di stelle (Totti, Menez e Borriello), in campo i giovani (Greco) e i presunti scontenti (Adriano). Il risultato ha cominciato a scricchiolare già dagli inizi della ripresa. Tra il fango (tanto) e l’erba (poca) del Bentegodi, il centrocampo giallorosso boccheggiava senza fantasia, stressato dagli attacchi clivensi.
Il primo cambio di Ranieri (dentro Taddei fuori Greco) non ha prodotto gli effetti sperati, stesso discorso per gli innesti tardivi di Menez e Borriello, chiamati a brillare quando la situazione era più che compromessa. A tutto ciò si aggiungano il nervosismo di Vucinic (ammonito) e De Rossi (espulso), ma anche gli episodi sfortunati come il maldestro intervento di J. Sergio in occasione del primo gol gialloblù e l’ingenua rimessa laterale di Taddei che ha "procurato" l’azione del raddoppio clivense. I due punti persi dalla squadra di Ranieri sono grandi come le inefficienze di un gruppo che, tra nervosismo e blackout, non ha saputo controllare una gara comodamente intascata dopo appena un tempo di gioco. Ed è così che, dopo Napoli e Inter, il piccolo grande Chievo dà l’ennesima lezione di calcio ad una big. Gli ingredienti? Grinta, umiltà e concretezza. I rimpianti, quelli sì, strabordano dal borsone giallorosso.
(Marco Fattorini)