Più forte delle polemiche, più irruento della pioggia che si è abbattuta sull’Olimpico, più maturo dei malumori per una continuità di rendimento che stenta a decollare. In pochi minuti Mirko Vucinic ha sconfitto paure, nemici e spettri grazie ad un gol (colpo di testa su cross di De Rossi) che ha steso l’Inter campione d’Italia e d’Europa. Tutto in qualche giro d’orologio. Dal 76esimo al 92esimo. Il montenegrino, subentrato ad un Totti opaco ed eufemisticamente poco felice di lasciare il campo, ci ha messo qualche minuto per ingranare la marcia, ma poi, in pieno recupero, ha deciso che la partita (e così il campionato della Roma) dovesse prendere un’altra piega. Geniale, inaspettata e benedetta dalla pioggia. All’Olimpico 40mila testimoni, prima di dover affrontare strade bagnate e motorini dalla sella inzuppata, hanno potuto assistere alla rinascita di una squadra che fino a qualche giorno fa era in disperata cerca d’autore ed ora invece pare aver cominciato a ricomporre una crisi d’identità triste e dispendiosa, ma forse propedeutica.
L’undici sceso in campo contro l’Inter ha mostrato le doti della Roma migliore, quella forgiata da Ranieri che appena pochi mesi fa lottava per lo scudetto a tu per tu con i nerazzurri dello Special One. Nessun revival, nè romantici sentimentalismi, parlano i fatti e le prestazioni dei singoli. La difesa è tornata a fare la difesa, con un leader indiscusso quale Juan che ha vietato l’accesso a facoltosi avventori del calibro di Sneijder, Milito, Eto’o. Una retroguardia finalmente rocciosa capace di far rilassare il buon Lobont, rassicurato anche dalla solidità di John Arne Riise. Il norvegese dal cuore grande e dalle maniche corte (anche d’inverno) è tornato in campo con la grinta di sempre e una prestazione di livello indiscusso dopo alcune settimane di stop forzato per un brutto infortunio alla testa.
In cabina di regia ha preso posto l’insostituibile Pizarro che, contro la sua ex squadra, ha nuovamente tirato fuori i numeri da prestigiatore. Proprio lui che dall’alto della sua statura non certo esagerata, si è sbarazzato palla al piede di due, tre avversari a pochi passi dall’area giallorossa. Il tutto senza leziosismi o ostentazioni, ma solo con l’intento (e il risultato) di far ripartire la squadra e renderle il consueto servizio. Chi di leziosismi se ne intende è invece Jeremy Menez, capace di scatenare coccole e imprecazioni del pubblico giallorosso nel giro di pochi secondi. Lui che contro l’Inter ha innescato decine di azioni sulla fascia, facendo impazzire un Chivu nervoso e costretto agli straordinari. Ebbene questo Menez capace di correre, saltare e dribblare si è spesso perso nelle sue meravigliose azioni senza concludere nè finalizzare. Un peccato? Sì, ma va benissimo così perché in ogni partita che passa il numero 94 cresce sempre di più, dimostrando (se ce ne fosse ancora bisogno) che ha tutti i numeri per arrivare a 100 e convincere anche i più scettici.
Passando poi per l’infaticabile Perrotta, il leone Borriello e il silenzioso ma fondamentale De Rossi, la Roma di sabato sera ha incorniciato una prestazione di abnegazione e grinta, allontanando da sè la parola stanchezza, respingendo gli spettri di Cagliari, Monaco e Brescia. Pochi pensieri, tante azioni, ripartenze in velocità e cambi di gioco, il tutto davanti ad una compagine di livello intercontinentale quale l’Inter di Benitez. Una rondine non fa certo primavera, a maggior ragione dopo la pioggia che è scesa sabato sera. Però una partita del genere può cambiare completamente l’umore di una piazza e la rotta di una squadra che ora, rinvigorita dall’affetto del suo pubblico e dalle motivazioni dei suoi uomini migliori, è pronta a scalare la classifica.
(Marco Fattorini)