Non è così semplice suddividere i meriti di un’impresa sportiva. C’è chi li attribuisce anzitutto all’allenatore, come hanno fatto gli interisti con Mourinho e come gli juventini stanno facendo con Antonio Conte (emblematica la coreografia per lui all’ultima giornata). Altri tengono fede al vecchio motto per cui sono sempre e comunque i giocatori a scendere in campo (e come dargli torto?). La figura del mister è complessa perché non può limitarsi ad insegnamenti tecnici o istruzioni tattiche, ma soprattutto oggi deve saper “gestire lo spogliatoio”, con i suoi zingari e i suoi re. In ogni caso ci sono parametri che restano inequivocabili per valutare il lavoro di un tecnico: i risultati. Che significa la classifica, ma anche la classifica rispetto all’anno precedente, il miglioramento e feeling con i giocatori, il modo di giocare della squadra. Finora il vincitore è sempre stato annunciato dulcis in fundo: in questo caso però è inevitabile sciogliere subito il dubbio, perché il premio di coach dell’anno è un dilemma a due.
Primo posto e vincitore: Rudi Garcia (Roma) Una logica (non “la” logica ma una logica) imporrebbe Antonio Conte sul gradino più alto, però proviamo a riavvolgere il nastro. Torino: prima dello scudetto, dei 102 punti, di Osvaldo all’Olimpico, del 19 su 19 in casa, delle 12 consecutive tra fine ottobre e metà gennaio… Prima di tutto questo c’era un’altro scudetto, con i suoi numeri e record. Roma: prima dei gol di Destro, dello spettacolo Pjanic, del muro Benatia, del 4-3-3 totale, delle 10 di fila all’inizio, della chiesa al centro del villaggio… C’erano misteri su Destro, insulti a Pjanic, dubbi per Benatia, il 4-3-3 dell’assurdo (non ce ne voglia Zeman), un villaggio senza religione. Se la Juve è maratona la Roma è stata progressione, tanto sciolta quanto faticosa per gli stenti del riscaldamento. Il premio di coach dell’anno va (ai punti) a Rudi Garcia, perché come dice Conte bisogna sempre ricordare da dove si veniva. La Juventus da un primissimo posto, la Roma da…due settimi o quasi.
Secondo posto: Antonio Conte (Juventus) Ciò detto diamo ad Antonio quel che è di Antonio: non tanto la medaglia d’argento, che probabilmente non accetterebbe, quanto la palma del miglior allenatore in senso assoluto. Se Garcia è la grande novità straniera Conte resta la miglior conferma italiana: nel mondo in cui mantenere può essere più difficile che iniziare questo vale più di qualsiasi graduatoria o confronto. Inutile dilungarsi troppo, parlano i numeri: 102 punti conditi con imbattibilità casalinga, miglior attacco (80) e miglior difesa (23). Roba mai vista. Irripetibile?
Terzo posto: Andrea Mandorlini (Hellas Verona) anche il terzo posto andrebbe condiviso ed anche in questo caso è una metà di Torino a restarne fuori, se pur di pochissimo. I motivi sono semplici: il Verona si è salvato con un girone di anticipo e soprattutto non ha pagato il salto di categoria. Mandorlini ha riproposto e dimostrato il suo teorema, lo stesso di Lega Pro e Serie B, nel campionato dei più grandi: 4-3-3 non impenetrabile ma compatto ed offensivamente esplosivo, accompagnato da numeri zemaniani (quinto miglior attacco con 62 gol segnati, terza peggior difesa a quota 68). E’ stato fortunato, perchè gli è scoppiato Iturbe e rifiorito Toni. Ma anche bravo: a confermare Rafael, insistere con Hallfredsson, valorizzare Cacciatore, riproporre Agostini e Donadel, gestire Jorginho, scoprire Romulo. Eccetera.
Altre nomination: Giampiero Ventura (Torino) Perché ha creduto per primo in Padelli. O perché ha rilanciato Cesare Bovo dopo due stagioni sciagurate. Perché chi scrive pensava che Glik fosse un giocatore di Serie B, e grazie a lui si è ricreduto. Perché ha riproposto Emiliano Moretti ad alti livelli. Perché Maksimovic e Farnerud erano oggetti misteriosi e oggi sono comprimari da fantacalcio. Perché Vives era un gregario qualsiasi ed ora è regista “trasparente”: semplice, chiaro, efficace. Perché El Kaddouri da mezza scommessa è diventato mezza realtà (prossimo boom?). Perché Darmian era un terzino destro con le ganasce e oggi si gioca il mondiale da esterno di cilindrata, per di più sull’altra fascia. Perché Cerci difende per lui. Perché Immobile sostituirà il grande Lewandowski. Perchè dunque Giampiero Ventura resta fuori dal podio? Usando una proporzione si può dire che sta a Mandorlini come Conte a Garcia: ha vinto lo stesso.
Stefano Colantuono (Atalanta) Non solo se l’è cavata per il terzo anno di fila: quest’anno ha esagerato con il record di punti nella storia dell’Atalanta, 50. Rubacchiandone a tutti, grandi e piccoli ed eccezione della super Juve: ricordiamo tra gli altri il 2-0 al Torino (2^giornata), 1-1 con la Roma (14^), 3-0 al Napoli (22^), 0-1 “a Lazio” (27^), 1-2 nel San Siro interista (29^), 2-1 fatale al Milan (37^). Una collana di bei ricordi e grandi attori, dal top scorer Denis (13 gol) al diamantino Baselli passando per il prof.Cigarini, il “Jack” Bonaventura e la valvola Carmona, fino ai guardiani Consigli e Yepes.
(Carlo Necchi)