Cera una volta lAtalanta di Emiliano Mondonico. Mentre centrava la promozione in Serie A giocava la semifinale di Coppa delle Coppe cedendo onorevolmente al Malines di PreudHomme, Leo Clijsters e Eli Ohana; poi arrivava sesta e settima in campionato, ci infilava una semifinale di Coppa Italia e nel 1991, con Bruno Giorgi subentrato a Pierluigi Frosio, arrivava ai quarti di Coppa UEFA.
Dopo il roboante 3-0 sul campo del Sassuolo cè una domanda che inizia ad aleggiare tra le tribune dellAtleti Azzurri dItalia: può questa Atalanta raggiungere i livelli di fine anni Ottanta-inizio Novanta? I numeri lasciano intendere che possa essere così: quattro vittorie consecutive e sei nelle ultime sette, quarto posto in classifica e tre punti di distanza dalla zona Champions League. Cera una volta Mondonico, oggi cè Gian Piero Gasperini: profili simili se vogliamo, se non che il Mondo era allora un quarantenne che aveva riportato la sua Cremonese in Serie A dopo oltre 50 anni e con lAtalanta era alla prima vera sfida della carriera, mentre il Gasp va per i 60 (tra un paio danni), allena tra Primavera (della Juventus) e Serie A da oltre venti stagioni e non si può certo considerare un esordiente.
Anche le loro squadre avevano formazione diversa: lAtalanta che fece fuori lo Sporting Lisbona in Europa si fondava su un nucleo di giocatori già affermati o comunque con carriere sviluppate (dal bomber Aldo Cantarutti al trentenne portiere Ottorino Piotti), uniche eccezioni Valter Bonacina, arrivato ventiduenne a Bergamo e oggi allenatore della Primavera, e leclettico svedese Glenn Peter Stromberg che allAtalanta si trovò talmente bene da rimanervi per otto stagioni, chiudere lì la carriera (breve) e risultando il più amato tra i capitani (lo dice una coreografia della curva risalente a qualche anno fa).
L’Atalanta di Gasperini è invece il concretizzarsi dellideale profondo che anima il desiderio di riscatto del nostro calcio: un allenatore confermato nonostante perda quattro delle prime cinque partite della stagione, e una squadra con folta base nazionale ed età media tendente al basso. Nel 3-0 al Sassuolo erano titolari Mattia Caldara, Alessio Conti e Roberto Gagliardini (classe 94) oltre a Franck Kessié (96): tutti cresciuti nel vivaio e rientrati da positivi prestiti in Serie B. A loro possiamo aggiungere Andrea Petagna (95) e Leonardo Spinazzola (93) che con Milan e Juventus non hanno trovato spazio ma qui giocano regolarmente, così come Alberto Grassi (95) che il Napoli ha fortemente voluto a gennaio salvo non fargli mai smettere la pettorina.
Gente che lascia in panchina Paloschi e Migliaccio, Carmona e Pinilla: non succede troppo spesso in Italia (anzi), un esempio simile è proprio quel Sassuolo strapazzato domenica e che negli ultimi anni ha segnato la strada. Un gruppo di giovani sapientemente guidato dalla mano esperta di Gasperini: uno che ha riportato il Genoa in Serie A e per due volte in Europa League, uno che la gavetta sa dire cosè avendola fatta, uno che è stato accusato di integralismo (leggi difesa a 3) ma che quando ha avuto tempo per lavorare ha sempre dato unimpronta precisa alla squadra, tirando fuori il massimo dal materiale a disposizione.
Basti pensare alla rinascita di Perotti e l’esplosione di Pavoletti a Genova, o il modo in cui ha trasformato un Alejandro Gomez da scontento per non essere partito a giocatore molto vicino a quello che impazzava a Catania. Certo siamo alla dodicesima giornata, e certo gli entusiasmi nel mondo del calcio sono facili e rapidi quanto le accuse e i processi; per ora però onore a Gasperini e la sua Atalanta, sperando che duri e che tracci un solco che sia da esempio per altri.
(Claudio Franceschini)