Non si è ancora spento il clamore suscitato dalla sentenza di primo grado del processo a Calciopoli, che ha confermato l’esistenza dell’associazione a delinquere. Per fare un’analisi approfondita della vicenda che ha appassionato e diviso gli italiani, abbiamo contattato il noto giornalista Roberto Beccantini, che ha lavorato a “La Stampa” per 18 anni e ha collaborato pure con “La Gazzetta dello Sport” e “Tuttosport”. Tifoso juventino ma pure critico della Triade, l’abbiamo scelto proprio per avere un giudizio che potesse essere equilibrato; ecco la sua analisi sul sistema-calcio di quegli anni, le responsabilità di Moggi e Giraudo, il ruolo delle altre squadre coinvolte in Calciopoli, ma anche sull’attualità: la Juventus che scarica Moggi, festeggiando per la propria “estraneità”, e il futuro del calcio italiano, attorno a cui girano ancora troppi interessi sporchi. Intervista da non perdere, rilasciata in esclusiva per IlSussidiario.net.
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Cos’ha pensato come prima cosa, quando ha sentito della condanna di Moggi e della gran parte degli imputati? E’ stata fatta giustizia?
Mi aspettavo la condanna per frode sportiva, ma non l’associazione a delinquere. Detto ciò, non credo al destino cinico e baro, rispetto la sentenza e attendo le motivazioni.
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Moggi era il diavolo, oppure era solo uno che tentava di arrangiarsi – con più cinismo degli altri, magari… – in un mondo di «sciacalli»?
Moggi è sempre stato Moggi anche prima di essere reclutato da Umberto Agnelli. Competente, alla mano, troppo vicino agli arbitri, troppo intrallazzatore: da Napoli a Roma a Torino, versante granata incluso. Nella guerra per bande che è stato il calcio italiano, la sua era di gran lunga la più influente (e, verdetto alla mano, la più corruttrice). Negli anni Novanta comandavano Juventus e Milan, gli Agnelli e Berlusconi, Giraudo, Moggi e Galliani, che però usava il “preservativo” (Meani).
Già il processo sportivo spaccò la coppia, e lasciò proprio la Juve con il cerino in mano. Le raccomando l’ambiguità di Moratti, che combatteva Galliani presidente di Lega salvo ordinare a Facchetti, che mai lo avrebbe votato, di votarlo, e anche la complicità di noi giornalisti: pochi seppero ribellarsi ai poteri forti.
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Come giudica le parole di Moggi: “Mica agivo da solo…”? Non c’è una gigantesca incoerenza nel verdetto di Napoli (Moggi condannato – Juventus estranea, senza pagare alcun risarcimento)? Ed è giusto che la Juve sia soddisfatta?
Su questo punto, Moggi ha perfettamente ragione. Sono rimasto sorpreso anch’io dall’incoerenza del verdetto e dallo smarcamento, immediato, della Juventus. Moggi era il direttore generale (per tacere di Antonio Giraudo, amministratore delegato e comunque “esterno” al processo di Napoli): da Franzo Grande Stevens a John Elkann non potevano non conoscere i suoi metodi. Ipocrisia e vigliaccheria allo stato puro. Mi meraviglio di Andrea Agnelli. La Juventus non può e non deve essere soddisfatta: se mai, arrossire per questo vile dietrofront.
E comunque, nella giustizia sportiva vige il criterio della responsabilità oggettiva: gli scudetti restano ventisette. Sarebbe il colmo se una società riuscisse a recuperare due titoli dopo che il suo direttore generale è stato condannato, in primo grado, per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Non scherziamo.
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E le nuove prove? L’Inter meritevole dell’art.6 secondo Palazzi, la prescrizione nerazzurra eccetera: tornerà tutto a galla in appello?
Non conosco le strategie di Moggi e dei suoi avvocati. Dico solo una cosa: Luciano dovrà difendersi per attaccare, e non attaccare per difendersi. Coinvolgere gli altri non significa, necessariamente, uscire immacolati. Credo che fondamentale, in appello, sarà lo scontro sulle schede svizzere: se davvero le usava per proteggere il mercato della Juventus, perché non fa i nomi di coloro che contattava? Cruciale è la credibilità.
Faccio un esempio: Moggi ha sempre straparlato di un pre-contratto firmatogli da Moratti. Nessuna rilevanza penale, ma perché non lo tira fuori dal cassetto? Così facendo, passa per un millantatore, per un bugiardo.
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Come andrà negli altri gradi di giudizio? Passeranno ancora anni prima di scrivere la parola fine? E quale sarà secondo lei?
Se l’Appello ed eventualmente la Cassazione dovessero confermare l’associazione a delinquere, andrebbero riscritti i dodici anni di calcio italiano che vanno dal 1994 al 2006. Gli anni della Triade. In caso contrario, torneremo a scannarci e a chiederci perché alcune bande fossero state escluse dal processo di Napoli.
Le altre società (Lazio, Fiorentina, Milan tramite i vari Lotito, Della Valle, Meani) come escono dalla sentenza di Napoli?
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Ne escono male, ma gli italiani dimenticano in fretta. Anche perché si cibano di slogan e da Napoli ne hanno avuto uno molto ghiotto: Calciopoli è tornata Moggiopoli.
Il calcio di oggi è pulito? O è solo un po’ meno «sporco»? Può essere questa l’occasione per voltare finalmente pagina e ripartire da nuove regole e nuovi valori?
Non so se il calcio di oggi sia migliore o peggiore, più pulito o più sporco. Servirebbero le intercettazioni per pesare certi errori degli arbitri. Essendo garantista, fino a nastro contrario, li considero semplicemente errori. A naso, mi sembra un calcio tecnicamente più mediocre ma più vivace, nel senso che sono molte le squadre, Napoli in testa, buttatesi a coprire il vuoto lasciato dalla Juventus. Certo, sarebbe l’occasione per voltare pagina, ma come si fa, Scommettopoli non è stata una barzelletta, e la camorra è sempre lì, in agguato. Non si può cambiare l’Italia senza cambiare, prima, gli italiani.
Prenda il rapporto con la giustizia: se non bacia la nostra causa, è sbagliata, corrotta, pilotata e chi più ne ha, più ne metta. Le dimissioni – gesto nobile in sé – sono viste come sinonimo di colpevolezza, di panico, di coglioneria, e così non si dimette mai nessuno, nemmeno Maurizio Beretta, presidente di Lega, dimissionario da una vita. Ci mancano dirigenti capaci di amministrare la “res publica” e non semplicemente la “res loro”. Lei parla di nuove regole e di nuovi valori. Auguri.
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(a cura di Alessandro Basile e Mauro Mantegazza)