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Home » Economia e Finanza » Economia Internazionale » CAOS DAZI/ Lo “schemino” del liberismo sfrenato che Trump ha fatto saltare

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CAOS DAZI/ Lo “schemino” del liberismo sfrenato che Trump ha fatto saltare

Giovanni Passali
Pubblicato 15 Aprile 2025
Trump, Studio Ovale

Donald Trump, Presidente USA nello Studio Ovale (ANSA-EPA 2025)

Il principale bersaglio dei dazi di Trump è il liberismo sfrenato con regole che hanno favorito soprattutto i cinesi

L’Amministrazione Trump, in questo suo secondo mandato, ha intensificato le politiche protezionistiche attraverso l’imposizione di dazi significativi su quasi tutte le importazioni verso gli Stati Uniti. Questi dazi (in buona parte sospesi per 90 giorni), definiti “reciproci”, hanno portato il livello medio ponderato dei dazi statunitensi dal 2% al 24% tra gennaio e aprile 2025, il più alto degli ultimi cento anni. La Cina e l’Unione europea hanno reagito con strategie diverse a queste misure, generando tensioni economiche globali.


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Il gran fracasso dei media su queste decisioni appare ingiustificato: sono misure annunciate in campagna elettorale e confermate dalle sue prime dichiarazioni, senza che nessuno dicesse nulla; ora le ha semplicemente attuate.

La Cina è stata il principale bersaglio delle politiche tariffarie di Trump. A partire dal febbraio 2025, gli Stati Uniti hanno imposto un dazio base del 10% su tutte le importazioni cinesi, incrementandolo progressivamente fino a raggiungere un impressionante 145% ad aprile. La Cina ha risposto con misure altrettanto dure, tra cui dazi del 125% su tutte le importazioni statunitensi e restrizioni sulle esportazioni di metalli strategici come il tungsteno.


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Le ritorsioni cinesi non si sono limitate ai dazi. Il Governo di Pechino ha avviato indagini antitrust su aziende americane come Google e ha sospeso le licenze di importazione di prodotti agricoli statunitensi, come la soia. Inoltre, la Cina ha cercato di rafforzare la cooperazione regionale con Corea del Sud e Giappone per mitigare l’impatto delle misure statunitensi.

Nonostante queste contromisure, molti analisti sostengono che la Cina abbia adottato un approccio meno aggressivo rispetto agli Stati Uniti. Le tariffe cinesi hanno colpito beni per un valore significativamente inferiore rispetto agli importi soggetti ai dazi americani. Inoltre, Pechino ha cercato di mantenere aperti i canali negoziali, mostrando disponibilità a discutere questioni come l’importazione di gas di scisto o ordini massicci di Boeing per ridurre le tensioni.


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L’Unione europea ha reagito con preoccupazione ai dazi imposti dagli Stati Uniti, in particolare quelli su acciaio, alluminio e automobili. Questi settori rappresentano una parte significativa delle esportazioni europee verso gli Usa. Bruxelles ha denunciato le misure americane presso l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), sostenendo che violano le regole del commercio internazionale.

In Europa sembrano non aver capito che il principale bersaglio di Trump è proprio il liberismo sfrenato e le regole (o meglio la cancellazione delle regole) che in questi due decenni hanno favorito soprattutto i cinesi. In fondo lo schema era semplice: gli americani si indebitavano per comprare i prodotti cinesi, i cinesi ricambiavano il favore comprando i titoli americani e sostenendo così il debito americano. Sembrava potesse filare tutto liscio per decenni.

Il “problema” di questo simpatico schemino è che in questo modo i cinesi lavoravano, mentre negli Usa affrontavano sempre maggiori tensioni sociali per la mancanza di lavoro per le fasce più deboli. E in fondo Trump ha vinto le elezioni proprio perché ha promesso di rompere questo schemino e di restituire agli americani maggiori possibilità di lavoro e di crescita basata sulla produttività locale.

Oltre alle azioni legali, l’Ue ha avviato consultazioni con altri partner commerciali per creare alleanze contro il protezionismo americano. La Commissione europea ha anche annunciato piani per diversificare i mercati di esportazione e ridurre la dipendenza dagli Stati Uniti. Tuttavia, l’Ue si trova in una posizione delicata: una risposta troppo aggressiva potrebbe danneggiare ulteriormente sia le relazioni transatlantiche, sia la propria economia, operazione quest’ultima per la quale sembra avere una vera e propria vocazione.

Una cosa però bisogna chiarirla, al di là delle polemiche sterili: i dazi non sono un’invenzione di Trump, anche Obama e Biden al tempo delle loro presidenze si sono dati parecchio da fare senza che nessuno dicesse nulla. E pure l’Ue non ha scherzato: dal luglio 2024 sono in vigore dazi sulle auto cinesi che variano dal 17% al 35%.

E bisogna anche capire qual è l’effetto principale dei dazi: le principali aziende globali saranno spinte ad aprire fabbriche nei Paesi che impongono dazi alle importazioni con l’obiettivo di evitarli, creando così occupazione in quel Paese. E se tutti applicano dei dazi, si tornerà a far sviluppare quel mercato interno di ogni Paese che la globalizzazione ha distrutto.

Quindi i dazi sono una ricetta miracolosa? Non voglio dire questo, ma un riequilibrio rispetto a oltre due decenni di liberalismo forsennato era certamente necessario. Trump lo ha capito prima di altri e si sta portando in vantaggio. Certamente la manovra non sarà indolore, ma in fondo a soffrire saranno i grandi capitalisti e la speculazione finanziaria.

Dicono che Elon Musk non sia molto contento di questa manovra. Ma in fondo stiamo parlando dell’uomo più ricco al mondo, no?

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Tags: Donald Trump

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