Dopo l'arresto in Italia della deputata brasiliana Carla Zambelli si pone la questione di decidere sulla sua estradizione
La vicenda dell’arresto della deputata brasiliana (ma con cittadinanza italiana) Carla Zambelli sta occupando le cronache tanto in Brasile quanto in Italia, sollevando dubbi sul passo successivo: quello dell’estradizione che fa sorgere dei dubbi ben poco amletici in Italia e dei timori molto fondati in Brasile, visto che da un lato in molti danno per sicura l’effettuazione della manovra, ma dall’altro sorgono dubbi in merito, con timori già da noi espressi nel precedente articolo sulla questione.
Zambelli era ricercata dall’Interpol per una condanna a dieci anni di carcere in Brasile a causa di un presunto hackeraggio del sistema informatico del Consiglio nazionale di giustizia, sostenuto attraverso la testimonianza di un hacker sul quale sorgono perplessità e messa in atto dal Tribunale supremo federale brasiliano per conto del suo responsabile, il Ministro Alexandre De Moraes.
Costui è un personaggio molto discusso nel suo Paese, perché le sue sentenze e il suo protagonismo esagerato hanno provocato un dibattito acceso nell’opinione pubblica e non solo: mercoledì scorso gli è arrivata una sanzione da parte degli Stati Uniti con il congelamento dei suoi beni negli Usa e il divieto ai cittadini statunitensi di operare finanziariamente con lui.
In pratica una condanna a morte “finanziaria” alla quale si sono aggiunti dazi del 50% nei confronti del Brasile, fatto che costituisce la misura più dura attuata nella guerra dei dazi di Trump. Questo a causa del cosiddetto Global Magnitsky Act, una legge che impone sanzioni economiche contro quei cittadini stranieri che non garantiscono i diritti costituzionali e i loro Paesi.
De Moraes è accusato di “aver assunto il ruolo di Giudice e Giuria in una caccia alle streghe illegale sia contro cittadini che imprese tanto statunitensi come brasiliane”, esistendo di fatto molte prove contro oppositori dell’attuale Governo di Lula che risultano condannati attraverso processi sommari nei quali non si sono riscontrate prove tali da considerarsi oggettive: costringendo molti cittadini a scappare dal Brasile per rifugiarsi negli Usa.
Il fatto, che è sostenuto anche dagli avvocati difensori di Zambelli, in pratica pone il Ministro in una poco invidiabile posizione di vittima dell’attacco hacker, ma anche di colui che non solo ha emesso la sentenza, ma ha pure deciso per l’irricevibilità dell’impugnazione della sentenza stessa da parte degli avvocati difensori. “Questa commistione di ruoli non sarebbe ammissibile in qualunque ordinamento giuridico moderno e democratico”, concludono gli avvocati Pieremilio e Angelo Sammarco, nel presentare l’istanza di scarcerazione.
In poche parole Zambelli viene definita una perseguitata politica (in compagnia di molti altri colleghi legati all’ex Presidente Bolsonaro, pure lui accusato di tentato colpo di Stato e attualmente ai domiciliari senza che sia stata emessa alcuna sentenza) e pertanto l’Italia dovrebbe prima, se non altro, assicurarsi che le condizioni del sistema di giustizia brasiliano rispettino diritti che al momento sono messi in discussione anche dagli Usa.
Nel precedente articolo abbiamo altresì anticipato anche il caso dell’ex terrorista Cesare Battisti che a un certo punto si rifugiò in Brasile, dove Lula lo protesse negando la sua estradizione in Italia, quando la nostra giustizia lo aveva condannato all’ergastolo riconoscendolo colpevole di ben 4 omicidi (di cui due diretti e due come collaboratore).
Il ministro della Giustizia brasiliana del Governo Lula di allora basò il rifiuto alla concessione dell’estradizione in Italia proprio sul fatto che sussisteva l’esistenza di un “timore di persecuzione delle Autorità italiane” nei confronti dell’ex terrorista dei Pac (Proletari armati per il comunismo).
Si dubitava all’epoca anche sulla regolarità del processo per la presunta assenza di garanzie: ma poco tempo prima della decisione brasiliana, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, su ricorso del condannato, aveva confermato come le pene erano conformi ai canoni dei principi di un giusto processo.
Il caso provocò anche l’irritazione dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in una lettera diretta a Lula dopo l’assurda manovra scrisse che “non è accettabile che crimini come quelli commessi da Cesare Battisti siano dimenticati o peggio assolti in considerazione della loro indefinita e inesistente ‘natura politica’”.
Lula rispose asserendo che “il nostro Paese è sovrano” continuando a negare l’estradizione e, anzi, nell’ultimo giorno del suo mandato, confermò la manovra sostenendo che in Italia non fosse garantito lo stato di diritto. Salvo poi nel 2021 scusarsi per l’errore commesso nel corso di un’intervista a un TG Rai.
Ora il punto è estremamente semplice: all’epoca solo il Brasile di Lula sosteneva la non democraticità del sistema italiano, mentre ora le prove di una certa adulterazione della giustizia brasiliana non si limitano al caso Zambelli, ma investono una serie di decisioni tra le quali anche l’inasprimento del controllo dell’informazione da parte delle autorità, con provvedimenti censori creati dallo stesso Ministro del Tribunale supremo federale brasiliano.
Inoltre, i dubbi sul sistema giudiziario brasiliano furono espressi dallo stesso Lula quando venne condannato in due processi per corruzione nel 2017…
Insomma, le prove questa volta ci sono: che farà il nostro Governo?
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