L’amore per il cinema, il grande legame coltivato negli anni, nonostante la bocciatura all’esame universitario. Ospite del Lecco Film Fest, Carlo Verdone ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del Corriere della Sera e ha ripercorso il rapporto ricco di amore con il padre Mario, scomparso nel 2009.
Verdone è intervenuto alla rassegna per parlare del film “Ordet-La parola” di Dreyer, un’opera lontana dal suo cinema ma che rappresenta una connessione emotiva con il padre: “Quel cinema non lo saprei fare, ma non vuol dire che non possa amarlo come spettatore. Massaggia il cervello con considerazioni profonde, è per un pubblico preparato. Erano film destinati all’insuccesso, Pabst morì nel dimenticatoio più assoluto”.
CARLO VERDONE E LA BOCCIATURA UNIVERSITARIA… DEL PADRE
Carlo Verdone è sempre stato un appassionato dei registi nordici e uno di loro, Pabst, è legato a un episodio a dir poco particolare della sua vita da studente universitario. Il padre del regista, infatti, insegnava cinema alla Facoltà di Magistero: “Mi chiese quello che non mi doveva chiedere: Dreyer. Non fu affatto generoso, facendomi fare una figuraccia tremenda. Ci rivediamo alla prossima sessione, mi congedò così”. Ma non è tutto. Verdone ha spiegato: “Alla vigilia l’avevo pregato di chiedermi di Fellini e del neorealismo. A casa, dopo l’esame, si fece una grande risata e mi disse, cosa avrebbero detto gli altri studenti se ti avessi protetto? La prossima volta preparati su Dreyer”. Mario aveva due anime, ha aggiunto: era autorevole ma aveva anche un’anima scherzosa e comica. Non poteva mancare un ricordo d’infanzia sugli ospiti d’eccezione: “Papà convocava me e mio fratello Luca e ci diceva: mi raccomando, tra poco suonano alla porta, salutate con educazione. Arrivavano Blasetti con gli occhiali neri; Lattuada con gli occhiali neri; Pasolini con gli occhiali neri; Germi”.
CARLO VERDONE: “MIO PADRE MI MANCA MOLTO”
Quello tra Carlo e il padre Mario è stato un rapporto ricco di amore, il regista ammette di sentire molto la sua assenza. Ciò che manca di più è il consiglio, ovvero “il suo essere punto di riferimento”. “L’altro giorno ho scritto la prefazione a un libro (Vita inquieta di un poeta) di Letizia Leonardi su un grande scrittore armeno, Yeghishe Charents, morto nel 1937. Mio padre era un grande cultore di quel popolo che ha avuto genocidi incredibili”, ha raccontato Verdone. Ma non è tutto. Il 71enne ha raccontato di aver allargato la mano verso il nulla, un gesto che faceva quando il padre c’era, “quando prendevo il ricevitore del telefono per leggergli un mio scritto, lui ascoltava e mi correggeva”: “Non trovavo il telefono. Mi sono detto, ma cosa stai facendo?”.