Ieri, dopo quasi vent’anni di battaglie legali, i genitori di Eluana Englaro sono riusciti a mettere la parola fine alla triste (tristissima) vicenda che iniziò nel 1992 dopo il tragico incidente che lasciò la ragazza – all’epoca 17enne – in un coma irreversibile: il padre, Beppino, aveva chiesto a gran voce di ‘staccarle la spina’ e nonostante il parere positivo della Cassazione e della Corte d’appello di Milano si scontrò con l’opposizione dell’allora direttore generale della sanità lombarda Carlo Lucchina. Alla fine Eluana Englaro ha trovato la morte che desiderava suo padre un anno dopo le sentenze (e siamo nel 2009) in un ospedale udinese e – tornando a ieri – Lucchina è stato condannato dalla Corte dei conti al pagamento di 175mila euro a favore dell’erario, pari al risarcimento ottenuto all’epoca da Beppino.
Una condanna, insomma, che rappresenta la chiusura di una sorta di cerchio con Lucchina (che si difende dalle accuse rilegando la sua decisione ad ordini impartiti dall’alto) che pagherà il risarcimento alla famiglia di Eluana Englaro; ma che al contempo – ed è l’opinione del procuratore di Avellino Domenico Airoma, anche vice del Centro Studi Livatino, espressa sulle pagine di Libero – apre anche le porte ad un pericolo precedente.
Il giurista Domenico Airoma: “Il caso Eluana Englaro rischia di aprire le porte al dovere di prestare la morte”
La condanna per il caso Eluana Englaro infatti, secondo Airoma, ha tutta l’aria di essere “un avvertimento diretto a stabilire le priorità di chi gestisce la spesa pubblica” e che inevitabile aprirà a numerosi dubbi su chi sarà in futuro disposto ad assumersi “il rischio di assistere persone con patologie incurabili, quando è molto più conveniente – e politicamente corretto – accompagnarli all’uscita“; ma anche su quanto possa “considerarsi corrispondente all’interesse pubblico l’apprestamento di quella cintura protettiva che la Corte Costituzionale ha ammonito di non far mai venir meno” con pazienti nelle condizioni di Eluana Englaro, senza dimenticare – continua Airoma – i legittimi dubbi su un’ipotetica “copertura assicurativa” per i medici che “per ragioni di coscienza e di fedeltà al giuramento prestato, non vorranno rinunciare ad accompagnare nel morire” i pazienti terminali.
Ma oltre ai dubbi strettamente giuridico-normativi, si rischia anche che – per ragioni “amministrativo-contabili” – si arrivi ad imporre “una sorta di dovere a prestare la morte a richiesta” con la chiara ed ovvia conseguenza che si metterebbero “fuori dal circuito dell’assistenza sanitaria pubblica tutti quei malati senza speranza, come se il dovere di solidarietà scolpito nella nostra Costituzione si dovesse arrestare dinanzi all’assenza di probabilità di successo delle cure”. Tutti dubbi che secondo Airoma – al di là del singolo caso oggi riguarda Eluana Englaro – dovrebbero essere “affrontate nelle aule parlamentari o nel confronto culturale” per ragionare realmente ad “un intervento sul codice penale che recepisca quanto statuito dalla Corte” secondo cui “non esiste un diritto a morire e non può esserci – conseguentemente – un dovere a prestare la morte” con tutte le casistiche di esenzione alle pene per i casi elencati dalla stessa Corte.