Molto amata da papa Francesco e da lui stesso ammirata di persona, con una visita a sorpresa, durante la recente Festa dell’Immacolata, la Crocifissione bianca di Chagall è un capolavoro davvero imperdibile. Offerto ancora per qualche settimana gratuitamente in visione al pubblico, proprio in occasione del Giubileo della Speranza, rappresenta un evento di portata internazionale: in Italia il quadro del pittore russo naturalizzato francese – proveniente dall’Art Institute di Chicago – non è mai stato esposto ed è per molti critici una delle sue opere più importanti. In tempi in cui sembra risorgere l’intolleranza, quando non addirittura l’odio per un popolo, quello ebreo, che da sempre incarna il dramma della persecuzione, contemplare in meditazione profonda questa tela non può che aprirci il cuore alla condivisione del dolore dell’umanità, e insieme stimolarci a mantenere vivo il desiderio di una luce nuova per i nostri tempi burrascosi.
Marc Chagall (Vitebsk, villaggio dell’attuale Bielorussia, 1887 – Saint-Paul-de-Vence 1985), di origine ebraica chassidica, ha interiorizzato profondamente quella cultura protesa al rinnovamento e insieme legata alle tradizioni, impregnate dei testi sacri della Torah e del Talmud. Pur costretto dall’infanzia a fuggire dalle persecuzioni e sofferenze dei pogrom (le distruzioni violente dei villaggi ebrei) condividendo il destino del suo popolo esule errante, rimase tuttavia sensibile alla percezione gioiosa della prossimità di Dio nella vita quotidiana, come attestano tanti suoi quadri con personaggi lievi e svolazzanti e colori vivaci. Lui stesso definì la sua arte “un sospiro di preghiere e di tristezze, una preghiera di salvezza, di rinascita”.
Il suo percorso, doloroso e insieme sempre tenacemente aperto alla possibilità di riscatto e pacificazione, gli ha fatto sentire il forte richiamo del Crocifisso, icona delle sofferenze degli innocenti perseguitati. Immagine non certo vicina alla tradizione ebraica, è stata però riprodotta più volte dal pittore russo. “Per me, Cristo ha sempre rappresentato il vero tipo del martire ebreo”, affermò convinto, certamente influenzato anche dall’amicizia con la mistica e poetessa Raïssa Maritain (1883-1960) – nata anch’essa in una comunità chassidica – che, convertita alla fede cattolica insieme al marito, il filosofo Jacques, nel 1906, mantenne un rapporto stretto con Chagall, intessuto di conversazioni teologiche raffinate.
La Crocifissione bianca “invita a riflettere sulla profonda connessione tra arte, fede e speranza”. Lo sottolinea monsignor Rino Fisichella, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, nella presentazione della mostra, sapientemente accompagnata da pannelli esplicativi che aiutano perfettamente il visitatore a comprendere la complessità dell’opera. Così il dipinto ci guida in una meditazione sul senso della vita che ogni uomo ricerca nella profondità del suo cuore. Naturalmente il quadro sorprende per la centralità della figura di Gesù, che però è circondata da simboli drammatici della storia ebraica. Lo stesso Cristo è rappresentato come un ebreo in cui si può identificare tutto Israele e ogni perseguitato: il capo è velato, non incoronato di spine, i fianchi sono coperti dal tallit rituale indossato da chi prega, la stessa forma della croce è una tau, ultima lettera dell’alfabeto ebraico. Sopra il capo del Nazareno volteggiano le quattro figure delle lamentazioni in abiti ebraici, che si coprono il volto davanti allo scempio del dolore raccolto nel corpo appeso alla croce. Ma la preghiera della lamentazione ebraica, causata dall’ingiusta sofferenza, non si rassegna alla disperazione, nella convinzione che “ogni notte, per oscura che sia, debba pur avere una fine”. E probabilmente questa fine è proprio simboleggiata dalla luce che illumina dall’alto il Crocifisso, interrompendo il grigiore di fondo del quadro, per sconfiggere le tenebre della storia.
La scala accanto alla croce indica poi che il condannato verrà deposto, non dovrà restare inchiodato per sempre: le tribolazioni avranno dunque una fine. Tribolazioni chiaramente identificate nella tragedia delle persecuzioni millenarie antisemite che hanno spinto Chagall a dipingere l’orrore della oppressione dell’innocente. La Crocifissione bianca è stata realizzata dopo la Notte dei Cristalli (9-10 novembre 1938), episodio emblematico della violenza antiebraica del nazismo, che riassume il tormento dei pogrom del passato e della fuga di quel popolo braccato dalla furia dell’odio cieco. Nel quadro si distinguono attorno alla croce la sinagoga violata che brucia, i falsi liberatori con le bandiere rosse che non saranno in grado di salvare il villaggio letteralmente messo sottosopra dai nemici, il povero ebreo errante che fugge col sacco in spalla, la madre che scappa terrorizzata con il bimbo in braccio, i profughi in barca che cercano una terra sicura: sono tutti personaggi infelici e apparentemente senza scampo che attorniano Gesù. Ma lui stesso è la luce, in lui il buio dell’odio e della violenza non sono riusciti ad entrare. Lui è il confine di luce che il male non può varcare, un’indomita speranza. È questa la grandezza della figura del Salvatore che, se per Chagall resta forse solo un uomo che si carica dei dolori infiniti dell’innocente, si staglia comunque per tutti come segno di quella Speranza a cui il Giubileo del 2025 richiama tutto il mondo.
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