Chiara Corbella Petrillo e Gianna Beretta Molla: due madri che scelsero di donare la vita per amore, testimoniando la fede fino alla fine

Il 13 giugno ricorre l’anniversario della morte della serva di Dio Chiara Corbella Petrillo. Viene spontaneo accostarla a Gianna Beretta Molla, anche lei donna, mamma e santa. La loro storia ci parla di quell’amore “più forte della morte” che ci è stato fatto conoscere da Gesù (Rm 8,38-39).

Entrambe hanno vissuto un’esistenza all’apparenza ordinaria, però trasfigurata dalla capacità di donarsi: hanno abbracciato la maternità, semplicemente, come vocazione, e ora risplendono come un segno di amore radicale e speranza incrollabile.



Chiara e Gianna ci testimoniano che il Vangelo può essere vissuto fino alle estreme conseguenze, in ogni tempo, con libertà, fiducia nella Provvidenza e pace interiore. Per questo, in un mondo che spesso misconosce il valore della maternità e considera solo le esigenze del benessere individuale, ne restiamo commossi e profondamente interrogati.



Gianna Beretta Molla (1922-1962) nasce a Magenta, in provincia di Milano. Dai genitori e dalla scuola riceve un’educazione cristiana. Da giovane si impegna nell’Azione Cattolica, nelle Conferenze di San Vincenzo e nelle opere parrocchiali. Dopo la laurea in medicina e chirurgia, si specializza in pediatria e apre un ambulatorio medico. Nel 1955 si fidanza con Pietro Molla, col quale si sposa cinque mesi più tardi. Secondo i loro desideri, hanno una famiglia numerosa: nel 1956 nasce Pierluigi, nel 1957 Maria Zita, nel 1959 Laura.

Nel 1961, al secondo mese della quarta gravidanza, Gianna si sottopone a un intervento chirurgico per l’asportazione di un fibroma uterino. Avrebbe potuto salvarsi con l’isterectomia o se, oltre all’asportazione chirurgica, avesse abortito. Invece, consapevolmente, scelse di portare avanti la gravidanza. Disse: “Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui”. La piccola Gianna Emanuela nasce il 21 aprile 1962; sua madre muore una settimana dopo, per una setticemia conseguente al parto.



Chiara Corbella Petrillo (1984-2012) nasce e cresce a Roma, in una famiglia di profonda fede. Frequenta dapprima il movimento del Rinnovamento nello Spirito e poi i frati minori della Porziuncola ad Assisi. Nel 2008, dopo sei anni di fidanzamento, sposa Enrico Petrillo. Le prime due gravidanze sono segnate da dolorose diagnosi: Maria Grazia Letizia (2009) e Davide Giovanni (2010), affetti da gravi malformazioni, vivono solo pochi minuti. I genitori li accolgono con amore, battezzandoli e accompagnandoli all’incontro col Signore.

Nel 2011, durante la terza gravidanza, a Chiara viene diagnosticato un carcinoma alla lingua. Si sottopone a un primo intervento, ma rimanda le cure più invasive per non nuocere al bambino. “Per la maggior parte dei medici Francesco era solo un feto di sette mesi. E quella che doveva essere salvata ero io. Ma io non avevo nessuna intenzione di mettere a rischio la vita di Francesco”. Il bimbo nasce il 30 maggio; poco dopo, Chiara inizia le cure per combattere il tumore. Muore il 13 giugno 2012.

La storia cristiana è ricca di madri sante: Maria, madre di Gesù; Elena, madre dell’imperatore Costantino; Monica, madre di Agostino; Rita da Cascia; Elisabetta d’Ungheria… Gianna e Chiara appartengono a questa luminosa schiera di donne che hanno vissuto la maternità e il matrimonio, semplicemente, come vocazione cristiana. Sono accomunate dalla scelta di portare a termine una gravidanza complicata anche a costo della propria vita.

Oggi, quasi ogni giorno, i mezzi di comunicazione riportano dati preoccupanti sulla denatalità. Cresce il numero dei giovani che scelgono consapevolmente di non avere figli, come accade tra le coppie childfree e DINK (Double Income, No Kids). La maternità è considerata un’opzione marginale: si privilegia la carriera, il divertimento e l’amore sensuale. Gianna e Chiara hanno percorso un cammino diverso, scegliendo di vivere nella fede, in quella luce limpida e priva di ombre la cui lampada è l’Agnello, il Cristo Redentore; hanno scelto di far parte della nuova Gerusalemme descritta dall’Apocalisse (cfr. Ap 21,23).

Quando la vita chiede la vita, qual è la scelta da fare? Qual è la vera convenienza nel dare la vita? Da Gianna e Chiara impariamo che non si tratta di decidere cosa sia giusto e cosa sbagliato, quanto piuttosto di entrare nell’ottica dell’amore. E non appena nell’amore materno, ma in quello evangelico. “Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i propri amici”, ha detto Gesù (Gv 15,13). Gianna e Chiara hanno seguito l’esempio di Colui che “avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13,1).

Non hanno disprezzato la vita, ma l’hanno affermata fino in fondo; hanno vissuto l’amore totale, che si nutre di fiducia nella Provvidenza e vince la paura della morte. Con il loro dono, hanno affermato – come san Paolo – la loro identità più profonda: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).

All’amica Cristiana Paccini, Chiara ha confidato: “Sai, Cri, ho smesso di voler capire, altrimenti si impazzisce. E sto meglio. Ora sto in pace, ora prendo quello che viene. Lui sa quello che fa e fino ad ora non ci ha mai deluso. Poi capirò. Per ogni giorno c’è la grazia. Giorno per giorno. Devo solo fare spazio” (Simone Troisi, Cristiana Paccini, Siamo nati e non moriremo mai più, Porziuncola, 2014).

In un’altra occasione le ha detto: “Nella malattia soffro, ma stare con Enrico da sposa rende tutto più vivibile. Il giorno del matrimonio ho dato la mia vita al Signore e ogni giorno dico sì a quello che avviene” (Piccoli passi possibili. Chiara Corbella Petrillo: la parola ai testimoni, Porziuncola, 2015).

Si legge ne L’Annuncio a Maria di Paul Claudel: “Forse che il fine della vita è vivere? […] Non vivere ma morire e dare in letizia quel che abbiamo. Qui sta la gioia, la libertà, la grazia, la giovinezza eterna!”. E ancora: “Che vale il mondo rispetto alla vita? E che vale la vita se non per essere donata?”.

Chiara e Gianna sono la testimonianza di un’esistenza realizzata nel segno dell’amore; esse ci guidano a scoprire il valore vero della vita. Di fronte a loro non percepiamo un senso di mancanza, bensì di pienezza, e ci pervade il desiderio di cose grandi e belle, veramente umane. Ricominciamo a respirare la gioia che nessuno potrà toglierci (cfr. Gv 16,23).

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