Ieri sera, lunedì 17 giugno, è andata in l’ultima puntata stagionale di Piazzapulita. Piazze che bruciano. Roma. Piazza Montecitorio deserta e assolata. Un’immagine insolita. Due bambini giocano come se fossero in spiaggia. Piazza Taksim. Istanbul. Dopo una notte di scontri e di guerriglia urbana, la piazza viene sgomberata dalla polizia. Tutto ebbe inizio quando l’amministrazione pubblica della città decise di eliminare l’ultimo polmone verde della metropoli per erigere al suo posto una moschea e un centro commerciale. Una semplice protesta cittadina ha assunto toni politici e di forte opposizione nei confronti del governo di Recep Erdogan. La Turchia che il premier vorrebbe costruire non piace in primis ai turchi. Piazza Taksim si è trasformata in una kermesse di colori e diversità, quella differenza che Erdogan non prevede nei suoi programmi dove si arriva all’imposizione di avere tre figli per ogni coppia. Misure che sanno di altri tempi. Odore di tiranni, di fondamentalismo. La gente non ci sta più. Per la prima volta nella storia tutte le differenze che fanno una nazione si ritrovano assieme per protestare. Non mancano nemmeno i curdi. Poi il ricordo dei quattro giovani uccisi dalla repressione della polizia. I canti e le candele nell’ultima notte, prima della violenza. Nessuno viene risparmiato. Nulla serve ad arginare la follia distruttrice delle ruspe che travolgono il campo sorto in piazza Taksim.La Turchia raccontata dal servizio mandato in onda in apertura è la stessa nazione che aspirerebbe a entrare a far parte della UE, per altro fortemente criticata da Erdogan, per le dichiarazioni espresse da Angela Merkel. Sono parecchie le aziende italiane che intrattengono rapporti di lavoro con aziende turche di ogni entità e importanza. Sembra che le contraddizioni della politica stiano assumendo ovunque gli stessi toni. Una società democratica non è pensabile senza se e senza ma. Sarebbe autoritarismo, quello stesso che Erdogan ha evidenziato attaccando, a piazza gremita, in un comizio, i mass media e accusandoli di diffondere veleni piuttosto che notizie.
Corrado Formigli, stimolando la riflessione in studio, è partito proprio dallo slogan senza se e senza ma impiegato nel suo pamphelet “Se noi domani” da Walter Veltroni. Veltroni ha esordito affermando che senza se e senza ma è solo pensabile la legalità. Tutto il resto, ovvero il mondo che rientra nella politica e nella vita quotidiana dei cittadini, deve tenere conto di quanto i se e i ma sottolineano in termini di democrazia, libertà, diversità e altro ancora. Le immagini di piazza Taksim, purtroppo, ci rimandano, ha proseguito Veltroni, a Genova 2001, alla caserma Diaz, al lager di Bolzaneto. La paura, diffusa, è che l’Europa intera possa essere divorata dal fuoco di tante piazze pronte a divampare. Non dobbiamo dimenticare i problemi di casa nostra. I se i ma non possono essere sepolti sotto facili trionfalismi e successi. Le piazze sono sempre contraddittorie. Così ha esordito Enrico Mentana, commentando il servizio su piazza Taksim. La piazza di Erdogan con un milione di presenti, ricorda troppe piazze passate alla storia. D’accordo sul fatto che molti di quei convenuti erano “truppe cammellate”, persone irregimentate, pur sempre una presenza sconvolgente. Non dimentichiamo, ha proseguito il direttore del TG7, che quel leader attaccato è lo stesso che per ben tre legislature è stato rieletto e con un consenso superiore al 50%. Malgrado questo, la piazza vista è di quelle che piacciono all’opinione pubblica occidentale. Quando in Francia, qualche settimana fa, milioni di cittadini sono scesi per le strade a manifestare contro i matrimoni gay, la reazione in Italia è stata minima. Il tema non fa opinione e nemmeno mobilita la macchina del sostegno civile e sociale. Piazza Taksim, al contrario, ha svolto una sensibilizzazione enorme, da intervento umanitario. per questo, ha concluso Mentana, i giudizi vanno fatti dopo un’accurata opera di discernimento sui fatti accaduti.
Erdogan, secondo Pietrangelo Buttafuoco, editorialista de Il Foglio, paga la sua ambiguità. All’occidente la sua opera di mediazione politica e non solo svolta in Siria ha fatto inneggiare a un opportuno ritorno al potere ottomano in medio oriente per riequilibrare tutte quelle piazze che si sono infiammate negli ultimi anni. Il problema, ha proseguito, è che noi non sappiamo niente di quanto realmente accaduto in Egitto, nel Magreb, in Libia, dove le nostre responsabilità nazionali e culturali erano di gran lunga superiori. Che significato hanno avuto tutte queste primavere sbocciate e presto dimenticate? I problemi emersi nella rivolta di piazza Taksim sembrano puntare sull’impossibilità di un Islam capitalistico e sul timore di un irrigidimento delle libertà morali e civili di un popolo che sta soffrendo come soffriamo in Italia.
È sulla questione della sofferenza di una nazione che ha esordito Oliviero Toscani, in collegamento fuori studio. La Turchia deve essere conosciuta, per capire quanto è successo e continuerà ad accadere, ha sostenuto il fotografo. I giovani che hanno protestato sono stanchi di un sistema e non si sono limitati a vivere con stanchezza la loro difficoltà, sono scesi in piazza. Chi ha viaggiato per la Turchia, quella fuori dalle rotte turistiche, ha visto in quali condizioni versa la popolazione. Questo rimane un monito anche per noi italiani, per i giovani che preferiscono mugugnare piuttosto che vivere il coraggio di scendere in piazza e protestare. Non lo facciamo perché siamo troppo vecchi nel cuore.