Tra gli ospiti della puntata di Che tempo che fa in onda questa sera c’è anche Eugenio Finardi, un piccolo pezzo di storia del rock del nostro Paese. Nato a Milano, nel febbraio del 1952, il cantautore lombardo è figlio di Enzo, un tecnico del suono, e di Eloise Degenring, una cantante lirica statunitense. Ha iniziato la sua carriera addirittura a nove anni, quando ha inciso un disco rivolto ai coetanei, Palloncino rosso fuoco, a dimostrazione di doti precoci, poi coltivate negli anni successivi. Nel corso degli anni ’70 ha quindi iniziato la sua militanza in veste di chitarrista in gruppi come Tiger o Il Pacco, in cui suonava a sua volta Alberto Camerini, Nel 1973, ha inciso il suo primo 45 giri, Spacey stacey, con la Numero Uno, etichetta varata da Lucio Battisti e Mogol. All’esordio in lingua inglese e su sonorità hard, ha poi fatto seguito una conversione all’italiano e un mutamento di atmosfere, che lo ha portato su sonorità sempre rock, ma più distese, collegate a testi impegnati.
Il suo album di esordio è stato Non gettate alcun oggetto dai finestrini, uscito nel 1975 sotto l’egida dell’etichetta Cramps. Il grande successo è giunto però nel 1976, con l’album Sugo, ma soprattutto con un singolo, Musica ribelle, che da allora ha simboleggiato la sua militanza artistica. Il periodo d’oro è continuato nel 1977 con Diesel, album molto considerato dalla critica. Nel 1979, Roccando rolllando si è però discostato non poco dal solco seguito sino a quel momento, provocando un certo sconcerto nel suo pubblico tradizionale. Da questo momento non è più riuscito a ripetere gli exploit di carattere commerciale dei primi anni, pur mantenendo la sua produzione sempre su livelli abbastanza alti.
Va inoltre considerato che nel corso degli anni ’90 ha deciso di distaccarsi sempre di più dall’industria discografica e dagli impegni di carattere commerciale, per accostarsi alla sperimentazione e alla scena alternativa. Tanti i lavori in studio cui ha dato vita nel corso della sua carriera, con una nota di merito per Dal blu, uscito nel 1985 e contenente Le ragazze di Osaka, e Il silenzio e lo spirito, risalente al 2003 e registrato dal vivo. Risale invece al 2005 Anima blues, nel quale Finardi ha dispiegato il suo amore per il genere. Negli ultimi anni ha operato una nuova conversione, accostandosi di nuovo al rock delle origini e partecipando alla 62ma edizione del Festival di Sanremo. Il Primo Maggio del 2013 lo ha visto esibirsi nel consueto concerto organizzato dai sindacati a Piazza San Giovanni, a Roma, in una versione dell’Inno di Mameli cantato sotto forma di taranta/rock, un episodio seguito anche da qualche polemica di carattere politico. Un nuovo inizio culminato nell’album Fibrillante, uscito da poco e diciassettesima prova ufficiale di una carriera lunghissima e sempre molto significativa.
Lo stesso artista milanese, in una lunga e articolata intervista, ha parlato della sua ultima creazione, partendo dalla spiegazione del suo curioso titolo. Il quale è dovuto ai risultati di alcune visite mediche, derivanti dall’insorgenza dell’ipertiroidismo, nel corso delle quali si è trovato di fronte questo termine che gli ha fatto scoccare la scintilla. Si tratta di un disco di lotta, ennesimo tributo a una militanza politica, a sinistra, dalla quale Finardi non si è mai chiamato fuori nel corso degli anni. Una lotta contro una società da lui definita troppo esposta alle disuguaglianze e nella quale Finardi vede con fastidio il concentrarsi troppo evidente della ricchezza nelle mani di pochi fortunati.
Un album di lotta simboleggiato da pezzi come “La canzone di Franco”, dedicata a un discografico della Sony incontrato da Finardi all’uscita da un ristorante, mentre chiedeva l’elemosina, dopo essersi rovinato per la separazione dalla moglie e il consumo di cocaina. L’intervista termina con le parole con le quali lui stesso spiega il perché abbia voluto a un certo punto allontanarsi da un cliché che lo obbligava a fare sempre le stesse cose, senza poter sperimentare nuove strade. Una scelta che se non ha pagato in termini economici, lo ha però appagato da un punto di vista prettamente artistico, consentendogli di fare le cose che gli piacevano e per cui sentiva interesse.