Tra gli ospiti della puntata di Che tempo che fa in onda oggi c’è anche Tullio Pericoli, uno dei maggiori disegnatori del nostro Paese. Nato a Colli del Tronto, in provincia di Ascoli Piceno, il 2 ottobre del 1936, sin da bambino ha mostrato i segni del suo precoce talento. Si è formato presso il pittore Ernesto Ercolani, direttore della pinacoteca cittadina, un tirocinio abbastanza faticoso, a causa della severità del suo mentore, ma estremamente proficuo, anche se causa di due bocciature in prima e seconda liceo. Una volta diplomatosi, si quindi è iscritto alla facoltà di Legge, come desiderato dal padre, lasciando però gli studi a soli quattro esami dalla laurea. Il suo primo lavoro è stato presso la redazione ascolana del Messaggero, per il quale ha disegnato i ritratti di personaggi locali nel corso degli anni ’50. Durante una mostra data proprio ad Ascoli, è stato notato senza indugio da una giornalista del New York Times, con conseguente invito a spostarsi a Roma. Dopo mesi nel corso dei quali non era però successo nulla, lo stesso Pericoli ha infine deciso di mettersi in contatto con Cesare Zavattini, il quale non ha mancato di notare la sua bravura, spingendolo infine a lasciare lo studio e a recarsi a Milano con una lettera di presentazione per Giancarlo Fusco, grazie al quale ha iniziato a lavorare al Giorno.
Un lavoro nel quale si è presto messo in evidenza illustrando i racconti di una lunga serie di scrittori famosi come Calvino, Bassani Pasolini e molti altri. Era il 1961 e da quel momento la sua carriera è letteralmente decollata. All’inizio degli anni ’70 ha quindi inaugurato la sua collaborazione con Linus, celebre rivista dell’epoca fondata da Oreste Del Buono, parallelamente a quella portata avanti con L’Espresso. Inoltre i suoi lavori sono stati esposti ripetutamente nel corso di una lunga serie di mostre tenute a Milano e in altri centri lungo la penisola. Dal 1984 è quindi iniziata la collaborazione con La Repubblica, una striscia ideata con Emanuele Pirella, dal titolo Fulvia, mentre a partire dal 1992 ha iniziato a collaborare con The New Yorker e Harper’s Magazine. Nell’anno successivo ha ricevuto il Premio Gulbransson dall’Olaf Gulbransson Museum, mentre nel 1995 ha disegnato le scene e i costumi per Lelisir d’amore di Donizetti messo in scena a Zurigo, esperienza ripetuta nel 1998 alla Scala di Milano. Negli anni a seguire ha continuato a esporre i suoi lavori in una lunga serie di mostre, mentre nel 2011 ha dipinto il Drappellone del Palio di Siena.
Attualmente espone presso lo Spazio Don Chisciotte a Torino una lunga serie di ritratti che vanno da Gadda a Beckett, in una mostra organizzata dalla Fondazione Bottari Lattes che è stata varata in contemporanea con l’uscita del suo ultimo libro, Pensieri della mano, edito da Adelphi. Nel corso di una intervista rilasciata proprio al primo giornale con cui ha lavorato, Il Messaggero, Pericoli si è definito un viaggiatore sedentario. Una definizione derivante dal fatto di disegnare posti senza spostarsi, semplicemente immaginandoli, in particolare i paesaggi del suo territorio, ai quali ha sempre dedicato particolare attenzione.
Nella stessa intervista ha anche voluto precisare il suo rapporto con Milano, la città ove ha trovato la grande affermazione, ricordando il vero e proprio salto rappresentato per lui dal passaggio in una realtà così diversa da quella di Ascoli, in cui si è formato negli anni giovanili. Un approccio brusco, quello con il capoluogo lombardo, definito da Pericoli traumatico, che però a poco a poco ha lasciato il posto a un rapporto sempre più produttivo, dovuto in particolare al fatto che la città meneghina è da sempre una fabbrica di idee in grado di accogliere tutti. Anche il tema economico è stato affrontato da Tullio Pericoli nel corso di questa intervista, quando l’artista marchigiano ha voluto ricordare come nel suo ambiente girino anche troppe risorse finanziarie, una floridezza che però andrebbe a scapito della libertà e della creatività dell’artista, cosa che lo ha spinto a ritrarsi il più possibile dai grandi eventi, in modo da concentrarsi sulla produzione.