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Home » Chiesa » CONSACRAZIONE DI RUSSIA E UCRAINA A MARIA/ Mons. Pezzi (Mosca): è così che si compie l’opera di Dio

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CONSACRAZIONE DI RUSSIA E UCRAINA A MARIA/ Mons. Pezzi (Mosca): è così che si compie l’opera di Dio

La decisione di Papa Francesco di consacrare al Cuore di Maria la Russia e l'Ucraina ha una motivazione profonda, come ci spiega Paolo Pezzi Vescovo di Mosca

Paolo Pezzi
Pubblicato 25 Marzo 2022
Papa Francesco a Fatima

Papa Francesco, pellegrinaggio a Fatima nel 2017 (LaPresse)

Nelle scorse settimane un amico mi ha ricordato come Bulgakov conclude il suo romanzo teatrale La guardia bianca: “Tutto passa [solo il presente resta]. Passano le sofferenze e i dolori, passano il sangue, la fame, la pestilenza. La spada sparirà, le stelle invece resteranno, e ci saranno, le stelle, anche quando dalla terra saranno scomparse le ombre persino dei nostri corpi e delle nostre opere. Non c’è uomo che non lo sappia. Ma perché allora non vogliamo rivolgere lo sguardo alle stelle? [ora, nel presente] Perché?”. 


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Alzare lo sguardo alle stelle significa introdurre un fattore imprevisto, ma certo sul destino degli uomini. L’iniziativa di Papa Francesco di consacrare al Cuore Immacolato di Maria la Russia e l’Ucraina va in questa direzione. Individuare e indicare a tutti, indipendentemente dal loro credo esistenziale, politico o, perché no?, ideologico, che resta pur sempre limitato, un punto di fuga, una strada percorribile. Alzare lo sguardo dal buio pesto in cui ci troviamo per rivolgerlo a una fiammella di luce, che proprio perché “immacolata”, cioè pura, gratuita può rischiarare la tenebra. 


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Già più di cinquant’anni fa i padri conciliari durante il Vaticano II si domandavano: “Qual è il significato del dolore, del male, della morte che malgrado ogni progresso continuano a sussistere? Cosa valgono le conquiste a così caro prezzo raggiunte?”, riconoscendo che il buio del mondo trova la sua radice nel buio in cui torna di nuovo a ripiombare il cuore dell’uomo: “Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo” (Gaudium et spes). 

Non è perciò pura teoria accademica, ma questione di vita o di morte alzare lo sguardo alle stelle, a ciò che può rispondere al profondo desiderio del cuore, all’attesa profonda nel cuore, perché il profondo squilibrio radicato nel cuore dell’uomo mina la speranza, cioè la possibilità di vedere una possibile prospettiva per il futuro, ma non può impedire che le stelle ci siano. Il giovane Majakovskij si interrogava: “Ma se le stelle si accendono – / significa – questo serve a qualcuno? /significa – è necessario / che ogni sera / sopra i tetti / si accenda almeno una stella?!”. 


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Mi ha colpito ricordare che Papa Francesco durante il suo viaggio in Iraq, nella terra di Abramo, richiamava la necessità di alzare lo sguardo alle stelle per affrontare le circostanze del mondo. “Da dove può cominciare allora il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Chi ha il coraggio di guardare le stelle, chi crede in Dio, non ha nemici da combattere. Ha un solo nemico da affrontare, che sta alla porta del cuore e bussa per entrare: è l’inimicizia. Mentre alcuni cercano di avere nemici più che di essere amici, mentre tanti cercano il proprio utile a discapito di altri, chi guarda le stelle delle promesse, chi segue le vie di Dio non può essere contro qualcuno, ma per tutti. Non può giustificare alcuna forma di imposizione, oppressione e prevaricazione, non può atteggiarsi in modo aggressivo”. 

E occorre “sentire” la corrispondenza di questa misteriosa, strana presenza delle stelle alle proprie attese, e magari scoprire che l’infinito ha una prospettiva più interessante per la vita quaggiù sulla terra, quotidiana, di tutte le nostre pretese. Occorre non soffocare l’anelito profondo alla pace, alla convivenza, alla comunione, che sola può superare ogni divisione. 

Se è vero, come dice Dante nel suo bellissimo inno alla Vergine, che Maria “è di speranza fontana vivace”, allora consacrare al suo Cuore Immacolato il nostro cuore meschino, ma pulsante di un desiderio ultimo di felicità, significa non spegnere quella fiammella del desiderio che è in noi. In ogni conflitto la sconfitta più disperante è proprio l’esaurirsi del desiderio dell’attesa. La Maddalena non si arrestò davanti al fatto che non c’era più Gesù nel sepolcro, il suo desiderio di rivederlo, di riabbracciarlo era così forte, che mentre i discepoli Giovanni e Pietro se ne tornarono a casa per cercare soluzioni per il futuro, lei restò davanti al sepolcro, le sue lacrime amare erano divenute “ardenti” di passione. Così che Gesù, quando la chiamerà per nome, le farà sperimentare che la fiammella di speranza nel suo cuore non si era spenta. 

Il cardinale Ratzinger ebbe a dire a Fatima parole confortanti a questo proposito, parole che indicavano una possibilità reale di sostenere la speranza degli uomini: “Il Mio Cuore Immacolato trionferà” disse la Vergine Maria ai pastorelli. “Che cosa significa? Il Cuore aperto a Dio, purificato dalla contemplazione di Dio è più forte dei fucili e delle armi di ogni specie. Il fiat di Maria, la parola del suo cuore, ha cambiato la storia del mondo, perché essa ha introdotto in questo mondo il Salvatore — perché grazie a questo ‘Sì’ Dio poteva diventare uomo nel nostro spazio e tale ora rimane per sempre. Il maligno ha potere in questo mondo, lo vediamo e lo sperimentiamo continuamente; egli ha potere, perché la nostra libertà si lascia continuamente distogliere da Dio. Ma da quando Dio stesso ha un cuore umano ed ha così rivolto la libertà dell’uomo verso il bene, verso Dio, la libertà per il male non ha più l’ultima parola. Da allora vale la parola: ‘Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo’ (Gv 16,33). Il messaggio di Fatima ci invita ad affidarci a questa promessa”.

La consacrazione al Cuore Immacolato di Maria diviene allora un domandare che “l’inizio di ogni giornata sia un sì al Signore che ci abbraccia e rende fertile il terreno del nostro cuore per il compiersi della Sua opera nel mondo, che è la vittoria sulla morte e sul male” (Luigi Giussani). 


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