Si chiama “manifestazioni extrapolmonari del Covid-19” ed è il primo studio completo sugli effetti del coronavirus al di fuori dei polmoni. La ricercatrice Aakriti Gupta si era subito resa conto che era molto più di una semplice infezione respiratoria, quindi fin dall’inizio ha seguito in prima linea l’evoluzione dell’epidemia, scoprendo che i malati avevano ad esempio problemi di coagulazione, un tasso alto di glicemia nel sangue pur non essendo affetti da diabete, ma c’era anche chi soffriva di lesioni cardiache e renali. Così insieme ad altri colleghi della Columbia University ha mobilitato anche medici di Harvard, Yale e Mount Sinai Hospital per realizzare uno studio che in questi giorni è stato pubblicato sulla rivista scientifica Nature Medicine. Dalla ricerca emerge che Covid-19 non è una infezione polmonare che causa polmonite, ma una «malattia multisistemica» che produce danni a molti organi. I ricercatori hanno notato molti casi di pazienti non solo con problemi di coagulazione, ma anche con «danni ai reni, al cuore e al cervello», quindi l’approccio è cambiato.
CORONAVIRUS, CRESCONO LE COMPLICAZIONI
«Nelle prime settimane della pandemia abbiamo assistito a molte complicazioni trombotiche, più di quanto ci saremmo aspettati dall’esperienza con altre malattie virali», spiega Kartik Sehgal, ricercatore di Beth Israel Deaconess Medical Center e Harvard Medical School, come riportato da actualites-sante. Si tratta di effetti che possono avere profonde conseguenze sullo stato di salute del paziente. Il virus Sars-CoV-2 attacca le cellule che rivestono i vasi sanguigni, quindi l’infiammazione cresce e cominciano a formarsi coaguli che possono viaggiare in tutto il corpo e danneggiare gli organi. L’infiammazione può anche stimolare eccessivamente il sistema immunitario, provocando quella ormai famosa tempesta di citochine che abbiamo imparato a conoscere. Ma i coaguli possono attaccare pure il cuore, anche se i ricercatori ritengono che il coronavirus lo aggredisca in altri modi. Scoprirlo è complesso, «in quanto non è stato spesso isolato dal tessuto cardiaco nelle autopsie». Però proprio quella tempesta di citochine può danneggiare il muscolo cardiaco attraverso un’infiammazione sistemica. Non è da sottovalutare neppure l’effetto sui reni, visto che sono state notate lesioni renali acute nei pazienti ricoverati in terapia intensiva. Questo probabilmente a causa del recettore ACE2, usato dal virus Sars-CoV-2 per entrare nelle cellule. Ebbene, è stato trovato in alte concentrazioni proprio nel rene.
COVID-19, UNA MOLTITUDINE DI SINTOMI ED EFFETTI
A New York City, ad esempio, è stata riscontrata un’insufficienza renale in circa la metà dei pazienti ricoverati in terapia intensiva. «Circa il 5-10% è finito in dialisi, si tratta di un numero molto alto», spiega Aakriti Gupta. Attualmente non ci sono dati completi sui danni a lungo termine sui reni, ma è probabile che una parte significativa dei malati dovrà proseguire con la dialisi. E poi ci sono gli effetti neurologici, a partire dagli ictus. In circa un terzo dei pazienti emergono sintomi neurologici come mal di testa, vertigini, stanchezza, oltre alla nota perdita dell’olfatto. Ma sono gli ictus che si verificano fino al 6% dei casi gravi a preoccupare. Si segnalano anche manifestazioni gastrointestinali, associabili ad una maggiore durata della malattia ma per fortuna non ad un aumento della mortalità. Anche stavolta ha un ruolo il recettore ACE2, in questo caso nelle cellule intestinali, così come la presenza della proteina nucleocapside virale nelle cellule epiteliali gastriche, duodenali e rettali e negli enterociti ghiandolari. Ma possono emergere anomalie anche a livello epatico, perché il coronavirus può danneggiare appunto anche il fegato. Se i pazienti con disturbi endocrinologici preesistenti possono essere predisposti ad un decorso più grave di Covid-19, sono state individuate manifestazioni endocrinologiche anche in pazienti senza malattia preesistente. Ma ce ne sono anche dermatologiche: eruzione cutanea eritematose, orticaria e varicella, geloni. Serve dunque un’analisi multisistemica per riuscire a contenere “l’invasione” virale.