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Home » Lavoro » CRISI AZIENDALI/ Orlando dica la verità, lo sblocco dei licenziamenti non c’entra

  • Lavoro

CRISI AZIENDALI/ Orlando dica la verità, lo sblocco dei licenziamenti non c’entra

Giuseppe Sabella
Pubblicato 23 Luglio 2021
Orlando al Mise

Andrea Orlando, il Ministro del Lavoro fuori dal MISE (LaPresse, 2021)

La serie di licenziamenti che si stanno vedendo nelle ultime settimane non sono dovuti allo sblocco che è stato confermato dal Governo

Seguendo telegiornali e prime pagine dei quotidiani, il problema delle crisi aziendali sembra esploso in questi giorni, in particolare con i casi Gkn, Timken e Gianetti Ruote, oltre alla mai risolta vicenda Whirlpool. Si dà così tanto risalto alla questione perché si reputa sia effetto della mancata proroga del blocco dei licenziamenti, decisa dal Governo tre settimane fa. L’avviso comune –-per cui i sindacati hanno manifestato la loro soddisfazione – consiste infatti nella proroga degli ammortizzatori sociali, non del blocco. Ma, invero, si tratta di problematica ben più complessa e composita che ha soprattutto altre ragioni.


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Giusto per dare una dimensione al problema, si consideri che a marzo 2021 la Fim-Cisl – sindacato del comparto metalmeccanico che conta quasi due terzi del totale delle crisi – stimava 52 tavoli di crisi nazionali aperti al Mise e 47 tavoli regionali, per un totale di circa 56.000 lavoratori e lavoratrici coinvolte. I settori più esposti sono automotive, siderurgia, elettrodomestici e aeronautica.


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Quando si parla di questo argomento, vanno anzitutto fatte alcune considerazioni preliminari: sebbene il Pnrr contempli interventi circa riforme strutturali – le chiama riforme orizzontali e di accompagnamento al piano: Pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione e fisco -, allo stato attuale scontiamo anni di mancata modernizzazione dell’infrastruttura Paese che hanno reso poco attrattivo investire in Italia e, spesso e volentieri, in modo mai troppo convinto da parte degli investitori. In questo senso, i casi Whirlpool e ArcelorMittal sono eclatanti e mettono a nudo questa dinamica: quando il ritorno non è quello desiderato, non si rispettano più gli accordi e si cerca di coinvolgere lo Stato italiano come investitore di ultima istanza. Vi è poi un discorso di riconfigurazione del mercato globale e di rilocalizzazione di attività produttive. Molte imprese sono tornate in patria negli ultimi anni – è questo il cosiddetto backreshoring e l’Italia, in Europa, ha i numeri più alti -, ma molte decideranno legittimamente di lasciare il nostro Paese scegliendo altre mete: è il caso della Gkn che vuole portare in Polonia (o in Francia) la produzione di Campi Bisenzio (FI).


IL CASO/ Quando è legittimo rifiutare di svolgere la propria prestazione lavorativa


Tuttavia, nessuna legge – e benché meno il blocco dei licenziamenti che è stato in vigore fino al 30 giugno us – può impedire a un investitore di chiudere o di portare la produzione altrove. Soltanto nel 2020 – il blocco è stato attivo praticamente per quasi tutto l’anno – abbiamo avuto circa 500.000 licenziamenti. Perché le aziende fallivano, chiudevano.

Vi è però un aspetto che è dirimente: questa crisi del lavoro non è soltanto di natura economica, ma è l’esito di un processo di trasformazione. E il fatto che il settore dell’automotive ne sia così coinvolto è un indicatore importante: l’avanzare del processo di trasformazione tecnologica ed energetica genera di per sé un problema occupazionale. In sintesi: molte posizioni vengono meno. Da qui, anche, il monito di Cingolani e Giorgetti che, tuttavia, riguarda il FitFor55 – cronoprogramma per il raggiungimento della carbon neutrality entro il 2050 – e non il Green Deal che è documento di indirizzo politico.

Tuttavia, molte altri lavori ne nasceranno. Ed è altrettanto evidente che questa situazione di trasformazione è certamente complicata, ma ha bisogno di mobilità: lavoratori e lavoratrici devono essere indirizzati verso nuove occupazioni e magari anche riqualificati. Sono queste le politiche attive del lavoro, storico punto debole del nostro sistema anche sul piano regolativo: vi è un’agenzia nazionale (Anpal), ma le deleghe fanno ancora capo alle Regioni per via della riforma del Titolo V del 2001.

Vi è però un elemento che ci dà importanti indicazioni per capire questo quadro complesso: le stime di Ocse e Fmi vedono la crescita italiana (+4,2%) superiore alla media europea (+3,9%) e alla stessa Germania (+3%). Di recente, il premier Draghi ha persino detto che saranno “significativamente riviste al rialzo”. Per quanto la crescita sarà in parte il prodotto del lavoro delle macchine, è anche certo che buona parte di questa ripresa avrà ricadute occupazionali, anche di qualità.

Sono da poco arrivati in Italia i primi 25 miliardi del Next Generation Eu: possiamo supporre che già da questo autunno vedremo partire degli investimenti. Termoli, ad esempio, è un’operazione che in particolare al Sud va replicata.

Sarebbe, pertanto, utile e interessante che il Ministro Orlando desse comunicazione di questa realtà delle cose. I sindacati parlano ormai soltanto ai loro iscritti, non hanno più questa capacità di parlare all’intero mondo del lavoro. Da un intervento del Ministro, l’informazione ne beneficerebbe molto e avremmo più consapevolezza diffusa e meno strade e ferrovie occupate da lavoratori e lavoratrici che manifestano le loro paure.

Twitter: @sabella_thinkin

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