Il Wall Street Journal, dopo aver paventato il rischio di una nuova Lehman Brothers in Cina, data la situazione del settore immobiliare emersa con la richiesta di ristrutturazione del debito presentata a New York da Evergrande, ritiene che il “boom economico” del gigante asiatico, ora alle prese con grossi debiti, sia finito.
Secondo Luigi Campiglio, professore di politica economica all’Università Cattolica di Milano, “rispetto al 2008 sono stati compiuti dei passi in avanti, ci sono stati dei miglioramenti nel sistema finanziario, per cui i presidi per arginare gli effetti di contagio in linea di principio ci sono. Non credo onestamente che possano arrivare grossi pericoli in tal senso dalla Cina, anche se certamente qualcuno non ne avrà un beneficio: chi ha investito sul Paese asiatico molto probabilmente non porterà a casa i rendimenti attesi”.
La situazione cinese è così grave come viene descritta dal Wall Street Journal?
Non abbiamo un termometro affidabile di quello che sta accadendo all’interno del Paese asiatico. Le shadow banks esistono anche in Occidente, ma lì hanno sicuramente molto più spazio e potrebbero rappresentare il buco in grado di inghiottire la Cina. Sarebbe molto importante anche capire qual è la situazione sociale nel Paese, qual è il clima di aspettative. Sappiamo, tuttavia, che la disoccupazione giovanile è alta e che la bolla immobiliare creerà perdite per le famiglie. Questo vuol dire che dobbiamo aspettarci un rallentamento dell’economia, morbido magari, ma pur sempre un rallentamento.
Volendo tradurlo in numeri cosa significherebbe?
Non certo vedere un Pil negativo. Per la Cina potrebbe significare dimezzare i tassi di crescita del passato attestandosi intorno al +4%. In buona sostanza, l’economia continuerebbe a crescere, ma non in modo così diffuso, per settori e per categorie sociali, come finora avvenuto. Di fatto, siamo in una situazione in cui un grande Paese sta mettendo in mostra pubblicamente le proprie fragilità.
Questo avrà delle conseguenze anche nell’ambito dei Brics?
Tra i Paesi che ne fanno parte, la Cina predominava per molti motivi sull’India, ma a questo punto il Paese guidato da Modi – che tra l’altro è presidente di turno del G20 – è probabile cominci ad avere più peso, dato che gli altri sono in difficoltà. Vero è che l’India, a differenza della Cina, non ha particolari mire su altre aree del mondo, ma forse questa è anche la sua forza.
Cosa significa un rallentamento dell’economia cinese per il resto del mondo?
Siamo abituati ad associare l’aumento dell’attività economia con l’aumento dei prezzi. Se, quindi, l’attività rallenta, parliamo di deflazione. Il rischio è che la Cina esporti deflazione. Il gigante asiatico è stato un motore, la frontiera di un nuovo mercato che ha trainato tanto la Germania e di riflesso l’Europa. Tutto questo è destinato a ridimensionarsi. E le conseguenze principali a livello economico sarebbero più significative per l’Europa.
Questo potrebbe portare la Bce a non alzare ancora i tassi?
Mi aspetto che a questo punto non li alzi. Già non ce sarebbe stato bisogno, ma farlo di fronte a una situazione di questo genere sarebbe quasi suicida.
(Lorenzo Torrisi)
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