CRISTIANI PERSEGUITATI/ Dall’Africa a India e Cina, 416 milioni di persone a rischio

- int. Alessandro Monteduro

La persecuzione anticristiana nel mondo, dall'Africa all'India a alla Cina, secondo il direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre

iraq chiesa cristiani 1 lapresse1280 640x300 Chiesa cattolica in Iraq (LaPresse)

“Il 2021 ci ha regalato una drammatica radicalizzazione islamica del continente africano, innanzitutto nell’area subsahariana, ma anche nell’Africa orientale, con la diffusione di almeno 24 organizzazioni terroristiche affiliate al sedicente Stato islamico, o ad Al Qaida, oppure autonome come, ad esempio, Al Shabaab in Somalia e Boko Haram in Nigeria. Si tratta di organizzazioni terroristiche che hanno l’ambizione d’insediarsi in Paesi come Burkina Faso, Niger, Ciad, Mali, Camerun, nel Nord della Nigeria, ma anche in Mozambico, dove il 2021 è stato un anno terribile, soprattutto nella provincia di Cabo Delgado. L’obiettivo è di istituire, attraverso la galassia jihadista, delle province nazionali di un califfato transnazionale e addirittura transcontinentale. Questa è la grande novità del XXI secolo”.

Ecco il panorama sconcertante delineato nell’intervista al Sussidiario da Alessandro Monteduro, direttore della sezione italiana di Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), organizzazione cattolica fondata nel 1947 ed eretta a fondazione di diritto pontificio da papa Benedetto XVI nel 2011, attualmente presente con 23 sezioni nazionali in altrettanti Paesi. “Purtroppo – prosegue Monteduro – con la disarticolazione militare dell’Isis in Medio Oriente, le cellule sopravvissute e fuggite hanno deciso d’insediarsi in Africa, dove, facendo leva sulla povertà, sulla carenza di posti di lavoro e sulla corruzione, hanno reclutato e addestrato giovani disponibili a tutto, pur di guadagnarsi da vivere. Questi giovani sono stati indottrinati e costituiscono oggi fenomeni di massa in Burkina Faso, ma anche negli altri Stati che ho citato”.

Dottor Monteduro, cosa ci può dire della situazione in Burkina Faso?

Nel 2015 quel Paese dell’Africa occidentale conosceva un’armoniosa e pacifica convivenza tra le diverse comunità di fede, come anche tra le comunità etniche. Oggi il 60% del territorio non è più raggiungibile da organizzazioni umanitarie che forniscono aiuti materiali alle popolazioni. Perciò, questo stesso 60% del territorio è ad altissimo rischio di attacchi terroristici e non è consentito all’Unicef, come pure ad Aiuto alla Chiesa che Soffre e a tutte le altre organizzazioni umanitarie, di visitare le centinaia di campi che accolgono profughi, sfollati interni, cristiani e musulmani, per portare loro un aiuto.

Nell’allargare la prospettiva a livello planetario, quali sono i dati sulle persecuzioni dei cristiani nel mondo?

In questo momento, in 26 Paesi in cui vivono 416 milioni di cristiani la persecuzione è da considerarsi feroce. Non sto dicendo che sono tutti perseguitati, ma che vivono in terra di persecuzione.

Oltre al jihadismo, quali sono le altre origini delle persecuzioni dei cristiani nel mondo?

Da una parte c’è il nazionalismo religioso, anch’esso fenomeno emergente, e dall’altra la riproposizione dei regimi autoritari.

In tema di nazionalismo religioso, nei giorni scorsi l’India è balzata all’onore delle cronache per il blocco dei conti correnti delle suore di santa Teresa di Calcutta.

Ahimè, per noi non è una novità, mentre è stata una novità il clamore che è stato riservato a quanto accaduto nel giorno di Natale in India. Infatti, dal 2017 ad oggi il governo indiano ha bloccato 6.600 licenze di valuta estera, di cui ben 900 appartengono a istituzioni religiose. E non si tratta di una novità perché dal 2014, dall’avvento al potere del Bharatiya Janata Party e del premier Narendra Modi, gli attacchi anticristiani, come anche anti musulmani, si sono progressivamente intensificati in India. E dal 2014 si è verificato un terribile, macabro gioco al raddoppio; da poche decine sono diventati, di anno in anno, centinaia e centinaia gli attacchi ai luoghi di culto, ai monasteri, ai conventi, ai seminari. Non sono solo attacchi teppistici, ma vere e proprie aggressioni ai fedeli, al clero, ai religiosi. Questo perché i movimenti estremisti induisti, con l’arrivo al potere del partito Bharatiya Janata, si sono sentiti rafforzati. Esponenti di questi movimenti estremisti indù oggi sono autorevoli membri del governo, del mondo accademico, dell’esercito.

Quali sono le motivazioni delle persecuzioni?

Nell’animo degli estremisti induisti, tutto ciò che non è riferibile alla loro religione è qualcosa che attenta all’integrità e all’unità del Paese.

Perché vengono impediti gli aiuti internazionali ad associazioni di carità, congregazioni e ordini religiosi presenti in India?

Li si accusa di favorire le conversioni attraverso l’azione di sostegno ai poveri, in particolare ai dalit, i senza casta. Insieme al blocco di donazioni in valuta estera, in otto Stati della grande India, che ha una popolazione di 1 miliardo e 383 milioni di persone, sono state approvate le cosiddette leggi anti-conversione, che impediscono il passaggio da una fede ad un’altra. Peccato che in questi Stati, in applicazione di quella legge, mai si è perseguito un induista che abbia favorito la conversione di un cristiano o di un islamico alla religione indù; invece, al contrario, sono stati perseguitati cristiani che, a dire degli indù, con il pretesto di azioni caritatevoli avrebbero richiesto la conversione. Tutto ciò avviene dal 2014, ma per 7 anni non è stato raccontato nulla dai mass media, viene data notizia solo ora.

Ma il blocco dei conti correnti delle organizzazioni che soccorrono i poveri non rappresenta un autogol per l’India?

Agli integralisti indù non interessa che i poveri indiani non siano aiutati e sostenuti. Per loro è fondamentale che i cristiani, i musulmani e tutti gli appartenenti a religioni diverse dall’induismo abbandonino l’India; sono sostanzialmente considerati impuri, accusati d’intelligenza con il nemico, cioè con l’Occidente. Noi registriamo quotidianamente l’avversione, l’ostracismo di natura governativa, perché l’estremismo è favorito da normative che sono contro le minoranze religiose.

Tra gli esempi di regimi autoritari, la Nord Corea è ancora in testa alla terribile graduatoria della persecuzione dei cristiani?

I report annuali di Stati Uniti e Gran Bretagna, come pure i nostri, definiscono la Corea del Nord un regime sterminazionista. Si stima che tra i 50 e gli 80mila cristiani siano reclusi in campi orribili di concentramento, magari per il solo fatto di possedere una Bibbia. Sono reclusi con l’intento di rieducarli alla dottrina del leader Kim Jong-un e vengono sfruttati come schiavi.

E la Corea del Nord è sostenuta dalla Cina.

Che è un retaggio del XX secolo, perché in Cina c’è una sola religione, cioè il partito comunista cinese, e un solo dio, Xi Jinping. Infatti, negli ultimi anni sono state rimosse migliaia di croci, chiuse o distrutte numerose chiese, arrestati senza ragione un gran numero di cristiani. E al posto delle croci sono state innalzate le bandiere del partito comunista, mentre nei luoghi cristiani di culto, che devono essere obbligatoriamente riconosciuti dal partito comunista, a fianco delle immagini della Madonna e di Gesù viene esposto il ritratto di Xi Jinping.

Ritiene che la situazione stia peggiorando in Cina?

Sì, c’è un ricorso subdolo alla tecnologia, con sistemi di controllo oppressivi ai danni dei credenti. Basti pensare che in Cina sono disseminate 626 milioni di telecamere di videosorveglianza, a riconoscimento facciale, in grado di interagire con i contenuti dei cellulari e, perciò, abilitate a monitorare i comportamenti dei fedeli cristiani. Quindi, la repressione è diventata feroce, in particolar modo ai tempi del coronavirus, perché, con la motivazione di prevenire la pandemia, le chiese sono ancor più controllate, anche se registrate come luoghi di culto.

E la persecuzione degli uiguri, la minoranza musulmana?

Secondo i report annuali di tante organizzazioni non governative, come pure di diversi Stati democratici, la Cina sta applicando una vera e propria campagna genocidaria nei confronti della comunità uigura, attraverso campi di concentramento, per processi che vengono definiti di rieducazione, ma anche in questo caso si tratta altresì di feroce sfruttamento.

(Flavio Zeni) 

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