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Home » Cronaca » ABORTO/ Quel sacchetto che lava la coscienza dei benpensanti

  • Cronaca

ABORTO/ Quel sacchetto che lava la coscienza dei benpensanti

Davide Rosati
Pubblicato 15 Settembre 2013
feto_aborto_gravidanzaR439

Un feto (InfoPhoto)

Perché, si chiede DAVIDE ROSATI, un feto abbandonato in un cassonetto tra la spazzatura genera sdegno mentre le morti causate dall’aborto sembrano non importare a nessuno?

“Orrore a Napoli, feto nel cassonetto!”, questo è uno dei tanti titoli sui giornali degli ultimi giorni relativi all’ultimo caso di ritrovamento di un feto abbandonato tra la spazzatura. Eppure dietro il dramma di quel bambino di 5-6 mesi si nasconde una grande ipocrisia. Perché se parliamo di “cassonetto” gridiamo all’orrore, mentre invece va tutto bene se si tratta di un sacco dei rifiuti del reparto ginecologia? Il contenuto è lo stesso, eppure uno fa orrore, l’altro no, dov’è la differenza? L’orrore che proviamo è legato al percorso di smaltimento che seguirà o c’è dell’altro? Cosa cambia per quel bambino se a eliminarlo è un medico, la sua stessa mamma o qualche “mammana”?


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L’unica vera differenza tra un feto che finisce tra i rifiuti speciali e quello che finisce nel cassonetto della spazzatura (o nello scarico del WC) è che ogni tanto qualcuno vede cos’è un feto e si accorge che è un bambino e così scatta l’orrore. Ecco quindi il vero punto della questione: ci da fastidio solo ciò che vediamo. Ci fa orrore vedere un bambino trattato in quel modo e così parte l’ennesima e ipocrita caccia al mostro, che in fondo ha come unica colpa quella di averci mostrato cosa significa eliminare una vita fragile e indifesa.


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Eppure di quei gesti macabri, diversi solo nella forma, ma uguali nell’esito, ne capitano circa 120.000 ogni anno. Di questi orrori ne accade ogni quattro nati. Se veramente ci fa orrore vedere un feto gettato nella spazzatura, dovremmo scandalizzarci 330 volte al giorno, tante quante sono le vite umane che ogni giorno subiscono quello stesso destino. Eppure, non vedendoli, le nostre coscienze non saranno turbate da questo orrore e tutto continuerà ad accadere nella più assoluta indifferenza, fino a quando non si vedrà un altro feto nel cassonetto.

Ci hanno anestetizzato con la parola “feto”, usata artificiosamente per cercare di negare che quello è un bambino, cercando di farci credere che è qualcosa di diverso, qualcosa che conta meno. Così a questo bambino, nell’intimo del ventre materno e nel chiuso di una stanza di ospedale, si può fare di tutto, perché tanto è una cosa diversa, è un “feto” non un bambino. Ma la realtà è testarda, e ogni tanto capita qualcosa che ci fa uscire da questo torpore, da questa indifferenza, e drammaticamente ci porta alla luce che quell’essere, che lo si chiami feto o bambino, è sempre un essere umano la cui dignità non merita quel supplizio. Chi non si commuoverebbe pensando a cosa può aver provato quell’essere indifeso prima di morire? Ha avuto freddo? Ha avuto fame? Ha avuto sete? Certo, ha provato tutto questo e ancora di più, ha atteso inutilmente il calore di sua mamma, fino all’ultimo vagito.


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Cari amici, finiamola con questa ipocrisia, per cui un feto nel cassonetto ci fa orrore e un feto nel sacco dei rifiuti speciali di un ospedale non ci dice nulla. Il vero orrore accade ogni volta che viene eliminato un essere umano nella sua fase di vita più debole e indifesa. Che questa eliminazione avvenga in un asettico ospedale o nel segreto di una stanza non cambia nulla, sarà sempre una vita soffocata e sarà sempre un orrore per la nostra umanità.


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