Il mio Papa, all’Angelus di ieri, non ha sorriso.
Ne aveva motivo perché ha parlato dei drammi dell’Iraq, di Gaza e delle vittime di Ebola, però mi ha fatto pensare. Per uno che ha detto no allo stile da Quaresima senza Pasqua, alla faccia da funerale, e ai cristiani che sembrano “cetriolini sott’aceto”, non c’è male. E ho capito che ieri sono un po’ cresciuto. Da piccoli si impara che anche i grandi piangono o almeno non ridono. E quando lo hai imparato, sei un po’ cresciuto.
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Sì, ieri sono un po’ cresciuto. Un Angelus serio. Serio come il vangelo. Ieri non si faceva fatica a leggere il vangelo. Gli apostoli avevano tempesta, vento e paura e Pietro scendeva pure dalla barca e Gesù sembrava un fantasma lontanissimo. Ieri non si faceva fatica a leggere il vangelo perché siamo in piena tempesta: Iraq, Palestina, Israele, Ebola, il difficile viaggio in Corea. E Francesco che parla di Beatitudini al mercoledì non ci saluta con il pollice alzato ma ci dice che per essere felici bisogna essere veri, svegli, presenti. Che i miracoli sono ora, qui, e la tempesta è da attraversare a piedi, piedi nella realtà: e allora mi piace il Papa serio. Perché Pietro non sorrideva duemila anni fa in mezzo alla tempesta, non sorrideva scendendo sul mare, gli occhi in Gesù e io sono stato, non dico contento, ma rassicurato dal suo silenzio, dalla sua gravità.
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Il mio Papa sa cosa succede alla barca e io ho pensato che quella sua gravità era il suo scavalcare il bordo della barca. Che quel suo dolore senza sorriso era il suo dire “Sei tu?” a Gesù. Che la sua serietà era il suo camminare sulla tempesta, con gli occhi in Cristo, e mi ha parlato di fede, fede, fede e così, prima di tornare dentro, è riuscito a dire come al solito: Buona domenica e buon pranzo!
E io prego per il Papa che legge Pietro e che è Pietro e che scende e va e torna e sale e si ricomincia.
Chissà cosa aveva nel cuore, afferrato al volo da Gesù. Ne usciremo fuori, la barca regge ma dobbiamo pregare, avere fede, stare uniti. È tempo di beatitudini questo. Ce lo diceva mercoledì. Sapete i dieci comandamenti ma le beatitudini? Ora è tempo di beatitudini. E allora perché non sorrideva ieri all’Angelus? Perché essere beato, essere il Papa della gioia, senza faccia da Quaresima, vuol dire stare nella vita con tutte e due i piedi ben piantati nel vero.
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Che faccia avrebbe dovuto fare? c’è la guerra in Iraq, sorriso? I morti in palestina, risata? Ebola, mettiamoci la cipria? No, io mi tengo stretto Pietro che è serio, quasi incazzato, e motivi ce ne sono a iosa. Mi piace un Papa che gli piace la realtà e la sua faccia lo rivela.
Ha perfino detto: “è ripresa la guerra, che miete vittime innocenti e non fa che peggiorare il conflitto”. Non fa che peggiorare vuol dire: ho organizzato l’incontro di preghiera per la pace con Shimon Peres e Abu Mazen, e da allora le cose vanno male. Anzi di male in peggio.
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Ci vuole coraggio per dire una cosa così. Io avrei minimizzato. Io avrei fatto quello che guarda il bicchiere mezzo pieno. Lui no: il conflitto non fa che peggiorare e la pace è sempre più lontana. Ma per il mio Papa la gioia è quella della realtà, la gioia dei piedi sull’acqua e del vento che è tempesta e si affonda e se sei grande queste cose le sai, lo sai che la felicità è una cosa seria. Per questo è un grande Papa. Pietro ieri ha sentito di nuovo la tempesta e di nuovo la calma e ci ha detto buona domenica e buon pranzo.
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