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Home » Cronaca » SPILLO/ Vicenda Kroll, l’assurdo nuovo ricorso contro Tronchetti Provera

  • Cronaca

SPILLO/ Vicenda Kroll, l’assurdo nuovo ricorso contro Tronchetti Provera

Sergio Luciano
Pubblicato 13 Gennaio 2018
Tronchetti_Provera_Marco_Lapresse

Marco Tronchetti Provera (Lapresse)

La sentenza di assoluzione di Marco Tronchetti Provera nella vicenda Kroll è stata rinviata per la terza volta alla Corte d’Appello di Milano. SERGIO LUCIANO

Non c’è due senza tre. La magistratura, quando ci tiene, si vede: e la Corte di Cassazione, evidentemente, a Marco Tronchetti Provera tiene molto, perché per la terza volta, l’altro ieri, ha rinviato alla Corte d’Appello di Milano la sentenza con cui già nel gennaio del 2015 e poi nel febbraio del 2017 essa aveva riconosciuto la totale estraneità dell’imprenditore-manager della Pirelli alle accuse sulla cosiddetta “vicenda Kroll” e per la ragione più netta, cioè perché il fatto “non costituisce reato”. Macché: per la Cassazione bisogna ancora “far luce”.


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La nota potrebbe finire qui, e invece nella sua sostanziale irrilevanza – come si può pensare che finisca un simile serial? – richiede qualche considerazione di analisi. Per cominciare, un flashback. 17 luglio 2013 Marco Tronchetti Provera era stato condannato in primo grado a un anno e otto mesi. Di che si trattava? Di un filone distinto nell’ambito dei cosiddetti “dossier illegali” di Telecom Italia, nel quale Tronchetti, amministratore delegato e azionista di riferimento del gruppo tra il 2001 e il 2007, non è mai stato processualmente coinvolto. In sostanza, Tronchetti si era visto recapitare dalla “security” del suo gruppo del materiale relativo al lavoro di spionaggio operato dall’agenzia Kroll su Telecom e sul suo vertice (e anche sulla stessa famiglia Tronchetti), per incarico di un committente della controllata brasiliana. Appena informato, Tronchetti aveva dato disposizione che venisse denunciato alla magistratura il fatto che era stato raccolto quel materiale e che gli era stato portato. Lo aveva ordinato in presenza di vari testimoni, senza in alcun modo acquisire le informazioni e quindi tantomeno avvalersene. In più – con scelta più unica che rara – Tronchetti, per ottenere giudizio pieno, aveva poi scelto di rinunciare alla prescrizione.


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L’11 giugno 2015, la Corte d’Appello di Milano lo aveva assolto con formula piena – azzerando la condanna di primo grado – perché “il fatto non costituisce reato”. Contro l’assoluzione di Tronchetti Provera pronunciata dalla Corte d’Appello, il Procuratore Generale di Milano – in data 29 settembre 2015 – aveva fatto ricorso in Cassazione. Il 18 febbraio 2016 la Corte di Cassazione aveva comunicato la decisione di rinviare gli atti alla Corte d’Appello di Milano per un nuovo processo d’Appello, al termine del quale, il 9 febbraio 2017, Marco Tronchetti Provera era stato nuovamente assolto perché il fatto non costituisce reato.


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Le motivazioni di quella sentenza di assoluzione sottolineavano che Tronchetti si era esclusivamente difeso da “una vera e propria aggressione” da parte di Kroll. Non emerge “in alcun modo dagli atti – si legge nell’atto – una finalizzazione dell’acquisto del bene di illecita provenienza, da parte di Marco Tronchetti Provera, diversamente da quella di denuncia di fatti commessi ai danni propri della propria famiglia o della società da lui presieduta”. “Che una vera e propria aggressione fosse in atto ai suoi danni – si legge – risulta confermato” e “la difesa appariva proporzionata all’offesa”. “L’azione – conclude la Corte – appariva indispensabile… in quanto la semplice denuncia del sospetto di uno spionaggio in corso, priva di riscontri, avrebbe potuto risolversi in un nulla di fatto o addirittura in una incriminazione per calunnia”.

Tutto chiaro, no? Macché. Il 20 aprile 2017 il Procuratore generale di Milano presenta un nuovo ricorso. Quando si dice la costanza. E l’altro giorno, il nuovo rinvio della sentenza in Appello da parte della Cassazione: ci sarà un processo ter, disposto dalla sesta sezione penale della Cassazione.

“È surreale”, ha commentato l’avvocato Marco De Luca, difensore di Marco Tronchetti Provera. “La condotta del dottor Tronchetti, che aveva rinunciato alla prescrizione proprio per consentire il pieno accertamento dei fatti, è stata ripetutamente ritenuta legittima in quanto le evidenze, comprese le testimonianze di più soggetti, hanno categoricamente escluso che fosse a conoscenza dell’origine illegale delle informazioni oggetto della presunta ricettazione”. In occasione dell’incontro in cui, continua De Luca, “Giuliano Tavaroli prospettò l’ipotesi di ricevere informazioni circa l’attività di spionaggio posta in essere dall’agenzia Kroll ai danni dello stesso Tronchetti Provera, della sua famiglia e di Telecom Italia, si prese solo atto di tale affermazione” e “come confermato al giudice di secondo grado dai testimoni presenti all’incontro con il signor Tavaroli – gli avvocati Francesco Mucciarelli e Francesco Chiappetta – il dottor Tronchetti si limitò a dare mandato a questi ultimi, senza fornire indicazioni sulle modalità procedurali (che non erano il suo mestiere, ndr) di ricorrere immediatamente all’Autorità Giudiziaria”. “Certi delle evidenze già accertate nel merito, corroborate anche dalle testimonianze di tutte le persone presenti nell’incontro in questione, con la sola esclusione di Tavaroli”, conclude il legale, “siamo fiduciosi che ancora una volta, incredibilmente la terza, la Corte d’Appello riconoscerà la verità dei fatti”.

L’unica, vera morale della favola è che alla prescrizione non è prudente rinunciare: è un bel gesto, pieno di senso civico, ma se procura un po’ di ammirazione da parte degli innocentisti, non sposta di un millimetro la disistima dei colpevolisti e rimette la palla sul piede di una magistratura che anche ad altissimi livelli dimostra di non aver alcun ritegno a contraddirsi perfino sui dettagli, senza peraltro aver nemmeno gli elementi per valutare nel merito una determinata vicenda. Per carità: la giurisdizione funziona così, e in linea di principio – ci mancherebbe – le toghe hanno tutto il diritto di andare “fino in fondo”. Però sul vocabolario esiste anche la voce “accanimento giudiziario”, che significa “insistita e ostinata serie di indagini nei confronti di una persona”. Già.


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