Una premessa. Quest’anno sono anch’io un pendolare (e lo sono stato, di tempo in tempo, in anni passati). So che cosa vuol dire arrivare sul binario e leggere che il treno è stato soppresso, salire sul convoglio successivo stipato all’inverosimile, vedere i minuti scorrere in soste incomprensibili, dover avvisare al lavoro che si farà tardi, tornare a casa sfiniti a ore impossibili. Recentemente, Il Foglio ha dato conto delle migliaia di treni soppressi da Trenord ogni mese. Capisco bene che il trattamento che i passeggeri dei treni suburbani ricevono è spesso inumano. Ma, per favore, resistiamo. Resistiamo, almeno, alla disumanizzazione. Conserviamo il primordiale moto umano della pietà, che davanti al dolore è capace di fermarsi, è capace di un momento di silenzio, di rispetto.
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Perché dico questo? Perché nei giorni scorsi un paio di notizie dai binari segnalano che davvero corriamo il rischio di dover dire che “pietà l’è morta”, e senza le nobili ragioni del canto partigiano. Prima notizia. Sabato sera, il regionale in partenza da Melegnano diretto a Piacenza investe una donna. Il treno si ferma, per sgomberare la linea ha una sola soluzione, tornare indietro fino a Milano Rogoredo. Qui, per placare i passeggeri infuriati è necessario l’intervento dei carabinieri. Seconda notizia. Qualche giorno fa, alla stazione di Piacenza un treno investe una donna. E mentre questa viene assistita, un passante si fa un selfie, fatto in modo che si vedano bene, dietro di sé, la donna e i soccorritori.
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Uno dei primi segnali della civiltà, dell’uscita degli umani dalla barbarie primitiva, è la pietà per i morti. La capacità, davanti al dolore, di fermarsi, di fare un momento di silenzio, di mettere da parte per un istante le proprie — giuste, giustissime — urgenze e di com-patire, soffrire insieme, sentire come propria la sofferenza dell’altro. Fermarsi un attimo a considerare che l’incidente è successo a un altro, sì, “but for fortune”, come cantava Joan Baez: è capitato a un altro, sì, ma per caso. Poteva capitare a me. Arriverò a casa un’ora più tardi, sì. Ma io almeno ci arrivo. La pietà per i morti, per il dolore, è l’altra faccia della gratitudine perché ci sono, e non è merito mio.
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