Giudici e parlamento alle prese con il pagamento delle rette per i malati di Alzheimer in RSA: gratuite o no? Per i privati si tratta di 2000 euro al mese
Se si guardano i decreti che hanno definito (DPCM 29 novembre 2001) e poi aggiornato (DPCM 12 gennaio 2017) i livelli essenziali di assistenza (LEA) del servizio sanitario appare chiaro che l’assistenza ospedaliera, salvo casi particolari e marginali (esempio: prestazioni in intramoenia), è gratuita per tutti i cittadini. Più complesso è il caso dell’assistenza distrettuale (territoriale) che vede la compresenza di attività gratuite (esempio: assistenza sanitaria di base), attività che prevedono una compartecipazione da parte dei cittadini sotto forma di ticket (farmaceutica, prestazioni ambulatoriali) con la possibilità di godere di eventuali esenzioni (totali o parziali), ed attività che prevedono un contributo pari a una quota percentuale rispetto alla tariffa della prestazione senza possibilità di esenzione.
Quest’ultimo è il caso della assistenza sociosanitaria (capo IV del DPCM 12.1.2017) ed è il contesto più complicato dal punto di vista della compartecipazione alla spesa perché prevede attività che sono gratuite (esempio: art. 31, assistenza sociosanitaria residenziale alle persone nella fase terminale della vita), altre che sono a parziale carico del cittadino (art. 22, prestazioni infermieristiche di cure domiciliari dopo 30 giorni dalla dimissione ospedaliera protetta), ed altre ancora che possono essere o gratuite o compartecipate (esempio: art. 30, assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti) a seconda che si ricada in un comma ovvero in un altro comma dell’articolo di merito.
È quest’ultimo il caso che qui interessa e che si applica a diverse condizioni (diversi articoli) descritte nel capo IV: ce ne interesseremo con riferimento alle degenze in RSA (Residenze Sanitarie Assistenziali).
In generale il discrimine tra la prestazione gratuita (cioè la retta della degenza interamente a carico del SSN) e quella compartecipata dal cittadino risiede nell’impegno sanitario previsto dall’assistenza per uno specifico paziente: non tanto nella quantità di prestazioni sanitarie rispetto a quelle assistenziali, bensì nella connessione tra i due tipi di cure che fa in modo che esse non possano essere erogate separatamente e che pertanto l’insieme congiunto delle prestazioni erogate debba essere considerato un intervento di tipo sanitario, e quindi a totale carico del SSN senza compartecipazione da parte del cittadino.
Il DPCM LEA non elenca le patologie che rientrano nella prima categoria (cioè patologie per le quali la prestazione è da considerarsi sanitaria e quindi a carico del SSN) o nella seconda (cioè patologie per le quali la prestazione è da considerarsi assistenziale e quindi compartecipata) ma indica, in funzione delle diverse condizioni (non autosufficienza, disturbi mentali, disabilità, …) le tipologie di trattamento che portano all’una o all’altra categoria.
E veniamo al punto concreto. Prendiamo un paziente affetto dalla malattia di Alzheimer che viene ricoverato in RSA: chi deve pagare la retta? Se si tratta di prestazione sanitaria (per essere più precisi: di prestazione sociosanitaria ad elevata integrazione sanitaria) la retta dovrà essere pagata dal SSN, in caso contrario il cittadino dovrà compartecipare alla spesa. Il problema è che il DPCM LEA purtroppo non risolve la questione e non chiarisce in questo caso chi debba farsi carico della retta, lasciando così spazio alla discrezionalità ed ai contenziosi legali. E l’esempio dell’Alzheimer non è isolato perché è facilmente estendibile a molte patologie neurodegenerative.
Dal punto di vista pratico è prevalente l’atteggiamento di chi considera le prestazioni erogate in RSA al paziente con Alzheimer una attività assistenziale, con la conseguenza di fare pagare al cittadino la quota di compartecipazione stabilita dai DPCM LEA, quota che non è irrilevante perché può variare attorno ai 2.000 euro ogni mese, obbligando il cittadino che ritiene di essere danneggiato ad attivare un contenzioso legale.
Ed è proprio recente l’ultima sentenza in proposito, pronunciata dalla Corte di Appello di Milano il 25 luglio u.s. (n. 1644/2025) in conformità con altre sentenze sia di altri tribunali che della Cassazione, che ha risolto il contenzioso a favore del cittadino affermando che si tratta di cure sanitarie continuative e che pertanto devono essere pagate totalmente dal servizio sanitario. È significativo segnalare che la sentenza di appello ha ribaltato il giudizio di primo grado nel quale il giudice di prime cure aveva invece sentenziato che si trattasse di attività assistenziale per la quale era pertanto prevista la compartecipazione del cittadino, a dimostrazione delle difficoltà di affronto della materia se ci si affida al contesto giudiziario.
La sentenza di Milano (in linea con altre precedenti) ha fatto saltare di nuovo sulla sedia molti direttori di ASL perché nel caso dovesse prevalere questo orientamento, vista la numerosità dei soggetti potenzialmente interessati, hanno presto fatto i conti valutando in alcuni miliardi l’aumento di spesa per il SSN. Di contro, sono brillati gli occhi a molti studi legali che hanno intravisto immediate possibilità di affari al punto che sono già presenti in internet pacchetti completi e formalizzati di proposte di contenzioso legale.
Il problema è evidentemente politico, nel senso di politica sanitaria, ed infatti è già presente in senato una proposta (definita “salva RSA”) per risolvere la questione, proposta approvata dalla Commissione Sanità, ma bocciata dalla Commissione Bilancio. Il tema scotta ed è evidente che una soluzione non solo è necessaria, ma è necessaria in tempi brevi: non a caso, leggendo il contenuto di alcuni pacchetti presenti in internet si trova anche un sollecito ai cittadini che sono nelle condizioni di farlo ad affrettarsi a presentare i ricorsi, perché questa finestra temporale favorevole potrebbe presto chiudersi.
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