Poco frequentato il corso per specialisti in cure palliative: bisogna alzare la qualità della formazione. Ma influisce il dibattito sul suicidio assistito

Con il decreto 909 del 27 maggio 2022, il ministero dell’Università e della Ricerca (Mur) ha per la prima volta istituito la scuola di specializzazione in medicina e cure palliative. Il corso, di durata quadriennale (240 Cfu), forma specialisti in grado di migliorare la qualità di vita di quei pazienti, e delle loro famiglie, quando la malattia di base ha carattere progressivo, una prognosi infausta, e non risponde più a trattamenti specifici. Diventa così  possibile effettuare una efficace programmazione sanitaria, indispensabile per raggiungere l’obiettivo fissato per il 2028: la presa in carico del 90% dei pazienti che richiedono cure palliative.



Un risultato importante, che però non ha ancora incontrato il pieno gradimento da parte dei giovani medici, come mostra l’insoddisfacente numero di iscrizioni alla Scuola di specializzazione. Eppure lo sviluppo delle reti di cure palliative avrebbe dovuto giungere a regime nel triennio 2023/2025, come previsto dalla Legge 106 del 2021, in cui si chiede alle Regioni di completare l’articolazione di queste reti entro il 2025 e il DM 77/22 che definisce il ruolo di queste Reti nel panorama ampio di una sanità territoriale profondamente rinnovata.



I bisogni di cure palliative della popolazione, anche alla luce dei cambiamenti epidemiologici (aumento delle patologie cronicodegenerative) e della transizione demografica (invecchiamento della popolazione) in atto, sono noti da tempo. Sono necessari più di 1600 medici e 4500 infermieri per garantire cure palliative domiciliari ai pazienti che ne hanno bisogno.

Sono tra le 450mila e le 540 mila le persone che ogni anno hanno bisogno di essere seguite da equipe specialistiche di cure palliative in ospedale, nelle strutture residenziali, negli hospice e a casa.

Considerando l’andamento epidemiologico e demografico, si ritiene che il numero complessivo delle persone che hanno bisogno di cure palliative sia destinato a crescere in maniera importante a fronte di un sistema sanitario in cui il deficit dei medici palliativisti è del 50% mentre la carenza è del 66% per gli infermieri.



Rispetto all’assistenza domiciliare, la situazione negli hospice sembra meno critica. La copertura del bisogno di cure palliative è tra gli obiettivi della Mission 6 del PNRR.

Poco attratti dalle cure palliative

Nelle venti sedi candidate a ospitare la scuola a partire dal primo anno (2021-2022) le borse previste sono state 112, ma le immatricolazioni 38 (34 per cento). Nel 2022-2023 la disponibilità di posti è cresciuta, grazie all’avvio delle attività da parte di altre sedi universitarie, ma l’adesione da parte dei medici si è rivelata inferiore all’anno precedente: 40 immatricolazioni su 140 borse (29 per cento).

Ma c’è anche un altro dato che occorre tener presente: l’abbandono del percorso da parte di dieci medici (su 38) che avevano iniziato la formazione in cure palliative. Dopo un solo anno, hanno preferito optare per i percorsi in geriatria, medicina interna, medicina d’urgenza e per il corso di formazione specifica in medicina generale. Non propriamente le scuole più gettonate, ma evidentemente più attrattive.

Non è semplice interpretare questo dato, perché alla base delle scelte degli specializzandi sembrano esserci ragioni diverse. C’è chi aveva altre aspettative in termini di formazione, e alcuni hanno ritenuto la formazione troppo limitante per eventuali successivi sbocchi professionali.

C’è stato infine chi, rispetto alla scelta iniziale, ha capito di non volersi confrontare tutti i giorni con il fine vita. Di fatto sono solo 68 i giovani medici candidati a diventare specialisti in medicina e cure palliative a partire dal 2026.

Numeri di gran lunga insufficienti – nonostante la possibilità di far lavorare gli specializzandi negli hospice e nelle reti domiciliari – per far fronte al gap di personale che già oggi si registra nella sanità italiana. Di fatto si calcola che saranno oltre 600 i palliativisti che andranno in pensione nei prossimi 10 anni, senza la possibilità di sostituirli. Dal momento che per formare e specializzare un medico palliativista servono almeno 10 anni…

Si torna allora a parlare di specializzazioni “equipollenti”, medicina generale, geriatria,  ecc. perfezionate da Master di alta qualità per ottenere gli specialisti necessari al fabbisogno del SSN nell’arco del prossimo decennio.

Le difficoltà degli specializzandi

Stando ai risultati di una survey condotta tra i primi specializzandi, i percorsi garantiti dai diversi atenei non sembrerebbero avere qualità omogenea. Un aspetto, che all’avvio di una nuova scuola di specializzazione è in parte fisiologico, nelle cure palliative è acuito da due peculiarità.

In primis la necessità di strutturare un percorso formativo che abbraccia trasversalmente quasi tutti gli ambiti della medicina e si sovrappone ad altri aspetti assistenziali, sociali e psicologici. Rende molto più complesso il lavoro rispetto ad analoghi percorsi mirati a singole branche mediche o chirurgiche.

C’è poi un altro fattore da considerare. Chi insegna spesso non è un professionista palliativista; manca di una consolidata esperienza in questo campo. Inoltre non c’è ancora stata un’attenzione adeguata alle cure palliative in chiave di ricerca scientifica. Puntare su ricerca di qualità è obbligatorio per far crescere le cure palliative sotto il profilo scientifico.

Ancora: manca una conoscenza adeguata di cosa siano le cure palliative nel percorso di base! Non ci sono crediti dedicati nei sei anni del corso di laurea!

Eppure, la norma afferma che lo specializzando in cure palliative deve approfondire e aggiornare le proprie conoscenze sull’evoluzione delle più diffuse condizioni di cronicità complesse e in fase avanzata, sulle correlazioni fisiopatologiche tra l’alterazione funzionale dei vari organi ed apparati e le sindromi cliniche e i sintomi correlati oltre che sulla conoscenza di linee guida per il trattamento farmacologico palliativo.

In particolare egli deve apprendere le metodiche di valutazione di qualità della vita, la conoscenza della fisiopatologia del dolore, la individuazione e la interpretazione dei bisogni di salute degli individui e delle loro famiglie, e della appropriatezza e dell’efficacia degli interventi assistenziali, l’acquisizione delle capacità di ascolto, di relazione e di comunicazione interpersonale; la acquisizione dei principi dell’etica medica e della bioetica clinica, la capacità di una impostazione teorica e operativa finalizzata al lavoro interprofessionale.

Ma credo che non si possa negare un ulteriore elemento di preoccupazione e di incertezza che potrebbe assalire il giovane specializzando in cure palliative davanti al rischio di essere precettato dalla ASL per mettere fine alla vita di un paziente che lo richiedesse. Il dibattito sul fine vita, tema così profondamente esistenziale ed antropologico, oltre che etico e giuridico, in questi ultimi anni ha legato il fine vita al suicidio medicalmente assistito.

La mobilizzazione mediatica, opportunamente orchestrata, pone sempre più in pole position il diritto del paziente a morire quando e come vuole, che non il suo stesso diritto a vivere nel miglior modo possibile. L’enfasi è messa tutta sul diritto del paziente a scegliere la morte riducendo il ruolo del medico a una pura esecuzione.

Il dibattito sulla “futura” legge sul fine vita, modello Cappato, ha troppo spesso oscurato il dibattito sulla legge 38, che istituisce il diritto alle cure palliative. E questo non può che confondere giovani medici che stanno affrontando studi lunghi, difficili e complessi, solo per curare e non certamente per accelerare l’iter del morire.

Cultura della vita

L’avvio della Scuola di specializzazione in medicine a cure palliative rappresenta una svolta epocale per le cure palliative italiane. È un traguardo formativo strategico per consolidare lo sviluppo delle cure palliative. Continua l’impegno a presidiare la formazione accademica nel pre-laurea, nei master e nelle altre linee professionali che contribuiscono al funzionamento delle équipe di cure palliative.

La prospettiva universitaria è difficile e impegnativa ma è necessaria e non può che essere stimolo e obiettivo sfidante, in particolar modo per giovani. Ma serve un forte cambio di prospettiva: alla cultura della morte occorre sostituire una cultura della vita e del suo valore fino all’ultimo istante ed oltre. É questo il proprium della professionalità medica nella sua intrinseca eticità e deontologia.

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