“Ho avvertito la difficoltà di trovare le parole adatte per esprimere a ciascuno di voi un pensiero augurale”. Il presidente della Repubblica incomincia il suo rituale discorso di fine anno in questo modo, quello che probabilmente meglio esprime questi giorni di “angoscia e speranza” e anche di smarrimento collettivo.
Nel suo ruolo di massimo rappresentante della Repubblica, Sergio Mattarella sembra voler cogliere il “cuore” del momento che sta attraversando l’Italia, l’Europa e il mondo intero, che conta i contagi e i morti dovuto al Covid-19.
L’angoscia è rappresentata dalla recrudescenza della pandemia, dalla cosiddetta seconda ondata e dal rischio di doverne affrontare una terza. La malattia “mette a rischio le nostre esistenze, ferisce il nostro modo di vivere”. Il presidente non si ferma soltanto a questo, parlando dell’angoscia che ha coinvolto il nostro Paese e tutto il mondo. Riferendosi specificamente all’Italia, Mattarella aggiunge: “La pandemia ha seminato un senso di smarrimento: pone in discussione prospettive di vita. Basti pensare alla previsione di un calo ulteriore delle nascite, spia dell’incertezza che il virus ha insinuato nella nostra comunità”.
In sede di commento, c’è chi fa notare che è la prima volta che il rappresentante della massima istituzione dello Stato pone l’accento su questo problema demografico.
E il presidente lo sottolinea appena dopo aver descritto “le pesanti conseguenze sociali ed economiche. Abbiamo perso posti di lavoro. Donne e giovani sono stati particolarmente penalizzati. Lo sono le persone con disabilità. Tante imprese temono per il loro futuro. Una larga fascia di lavoratori autonomi e di precari ha visto azzerare o bruscamente calare il loro reddito. Nella comune difficoltà alcuni settori hanno sofferto più di altri”.
Ma se questo rappresenta il “grande dramma” del 2020 e in Italia ha acuito le congenite difficoltà e diseguaglianze del passato, dove si può andare a pescare le speranze? Ci sono, secondo Mattarella, due fattori di speranza. Il primo è costituito dal vaccino, una conquista scientifica raggiunta in poco tempo, battendo quasi ogni record storico. Il secondo è rappresentato dall’impegno europeo, da un rinnovato, forse ritrovato spirito europeo. In questa circostanza, Mattarella sottolinea infatti che “mai l’Unione Europea si è assunta un compito così rilevante per i propri cittadini”.
Stupisce quasi che un uomo come Mattarella metta in contrasto l’Unione Europea di fronte alla malattia rispetto a quella che affrontò la crisi del 2008. Dice il presidente: “Ha prevalso l’Europa dei valori comuni e dei cittadini. Non era scontato”. E qui c’è una sorta di autocritica postuma e generale: “Alla crisi finanziaria di un decennio or sono l’Europa rispose senza solidarietà e senza una visione chiara del proprio futuro. Gli interessi egoistici prevalsero. Vecchi canoni politici ed economici mostrarono tutta la loro inadeguatezza”.
Forse a qualcuno verrà in mente il trattamento riservato alla Grecia, il salvataggio delle banche tedesche e l’ottusa politica dell’austerità che andava tanto di moda tra i “geni” di quel periodo.
Il presidente della Repubblica, a questo punto, mette i “puntini sulle i”: ricorda e nello stesso tempo ammonisce, anche perché si trova di fronte a una frattura governativa che sembra camminare sull’orlo di una crisi. Ovviamente, Mattarella schiva il dibattito legato a un rimpasto, a una crisi limitata nel tempo o addirittura al rischio di elezioni anticipate. Ma propone con il suo compito istituzionale un ammonimento di carattere complessivo, etico e politico: “Ci accingiamo – sul versante della salute e su quello economico – a un grande compito. Tutto questo richiama e sollecita ancor di più la responsabilità delle istituzioni anzitutto, delle forze economiche, dei corpi sociali, di ciascuno di noi. Serietà, collaborazione, e anche senso del dovere, sono necessari per proteggerci e ripartire”. Ce ne è per tutti e i doveri sono ripartiti tra tutti.
Evita polemiche dirette Mattarella, ma certo non fa il sordo di fronte ai richiami che vengono dei rappresentanti italiani in Europa, come ha fatto due giorni fa Paolo Gentiloni. E infatti Mattarella dice, quasi sottolineandolo: “Il piano europeo per la ripresa, e la sua declinazione nazionale – che deve essere concreta, efficace, rigorosa, senza disperdere risorse – possono permetterci di superare fragilità strutturali che hanno impedito all’Italia di crescere come avrebbe potuto. Cambiamo ciò che va cambiato, rimettendoci coraggiosamente in gioco. Lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo alle giovani generazioni. Ognuno faccia la propria parte”.
L’invito di Sergio Mattarella è incontestabile. Sembra anche difficile da interpretare, come un congedo di ripartenza. Quando specifica che comincia il suo ultimo anno di presidenza. La portata complessiva del suo discorso è sostanzialmente uno sforzo di ricerca di unità per uscire dall’angoscia del virus e sostenere la speranza di una collaborazione collettiva.
Certo, le controindicazioni all’appello del presidente non mancano. Il dibattito tra i “duellanti” Giuseppe Conte e Matteo Renzi restano pesanti sullo sfondo ed è difficile comprendere il bandolo della matassa in chi muove anche indirettamente questo braccio di ferro.
I rituali commenti al discorso di Mattarella sono tutti improntati al garbo e all’esempio del presidente. L’impressione conclusiva è che Mattarella abbia fatto un richiamo alla responsabilità collettiva, soprattutto a quella istituzionale ovviamente, perché si superi e si volti le spalle al “funesto” 2020. L’impresa è difficile e densa di incognite, i protagonisti sono quelli che sono.
Ma che cosa altro poteva dire Sergio Mattarella di fronte alle macerie che hanno provocato le carenze politiche di oltre un ventennio e quello che ha ci ha procurato il Covid?