I capi delle Chiese cristiane radunati a Taybeh, villaggio cristiano in Cisgiordania attaccato più volte dai coloni israeliani, chiedono giustizia e pace

I coloni hanno danneggiato edifici e bruciato terreni. E potrebbero farlo ancora. Stavolta hanno preso di mira Taybeh, l’ultimo villaggio in Cisgiordania abitato completamente da cristiani. Per difendere i residenti, racconta padre Ibrahim Faltas, vicario della Custodia di Terra Santa, tutti i capi delle Chiese cristiane si sono ritrovati nel villaggio per chiedere che finiscano le violenze.



Uno scenario che si ritrova ormai in tutta la West Bank: anche Betlemme è stata oggetto di diversi attacchi. Da lì, come da altri centri abitati, molti cristiani, senza lavoro e futuro, se ne sono andati. Anche a Gaza la comunità cristiana resiste, ma le persone radunate nella parrocchia latina stanno finendo cibo e farmaci.



I capi delle Chiese cristiane sono intervenuti a Taybeh in difesa del villaggio palestinese cristiano. Chi ha partecipato all’incontro e come si è svolto? Cosa hanno dovuto subire gli abitanti?

Tutti i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme, insieme al nunzio apostolico e moltissimi ambasciatori e consoli, hanno partecipato a un incontro di vicinanza e solidarietà con gli abitanti e i sacerdoti di Taybeh, che ha subito numerosi attacchi da parte di coloni che vogliono appropriarsi di case e di terreni. È rimasto l’ultimo villaggio abitato completamente da cristiani in Cisgiordania, ma anche altri villaggi e città, come Betlemme, subiscono questi attacchi che mettono a rischio la vita e la sicurezza degli abitanti. A Taybeh, nelle ultime settimane, molti edifici sono stati danneggiati, molti terreni sono stati dati alle fiamme. La situazione è veramente terribile e pericolosa.



I coloni hanno potuto agire indisturbati senza che nessuno intervenisse per bloccarli. Anzi, spesso i soldati israeliani sostengono i coloni stessi. C’è il rischio che si verifichino altri episodi del genere per cacciare definitivamente gli abitanti?

L’incontro ha messo in luce la sofferenza e la paura degli abitanti di Taybeh. È una comunità pacifica composta da cristiani di confessioni diverse ma unite, gente orgogliosa di appartenere alla Terra Santa, di mantenere la fede dei propri padri e le tradizioni che risalgono al tempo di Gesù. I cristiani, come gli abitanti della Cisgiordania di altre religioni, chiedono di rimanere nella loro terra natia, in sicurezza e senza limitazioni. Il rischio e il pericolo che questi attacchi continuino è reale, per questo motivo la nostra presenza è servita a portare l’attenzione della comunità internazionale su quello che succede in Cisgiordania, oltre che a Gaza, dove la situazione è disumana. I nostri appelli a ristabilire il rispetto dei diritti essenziali dovrebbero essere ascoltati da chi può e deve intervenire. Il nunzio apostolico informa costantemente la Santa Sede della situazione che coinvolge i cristiani, e non solo loro, ma tutti coloro che abitano la Terra Santa.

Il messaggio che i cristiani hanno voluto dare non è di odio e di contrapposizione, ma una richiesta di unità e pace: è possibile dialogare con chi ritiene di avere diritto a questi territori senza riconoscere le prerogative delle altre confessioni religiose in Terra Santa?

Non abbiamo sentito parole di odio e di vendetta, ma solo la richiesta ferma di essere aiutati a rimanere nelle loro terre a difendere la propria identità di popolo e di fede. Il dialogo è possibile quando c’è la volontà reciproca di incontrarsi e di ascoltarsi. Il conflitto in Terra Santa ha radici antiche, che hanno bisogno di una mediazione internazionale seria e capace di risolverla. Non bisogna riferirsi alla grave situazione che vive la Terra Santa come a una guerra di religione, ma a situazioni di prevaricazione e di limitazioni che colpiscono chi non può difendersi. Si deve ripristinare il rispetto dei diritti essenziali di due popoli a vivere in sicurezza, in territori definiti nei confini, bisognosi di recuperare la propria identità nazionale.

In Cisgiordania vengono distrutte case, strade e infrastrutture: come sopravvive la gente? Quante persone hanno dovuto lasciare la loro abitazione? Hanno trovato un rifugio, un tetto sotto il quale vivere?

Purtroppo, anche in Cisgiordania la situazione è precipitata, già si era aggravata dopo il 7 ottobre 2023. Le maggiori e più estese chiusure del muro e dei checkpoint, la limitazione di libertà e di movimento, la mancanza di pellegrini hanno causato la perdita di posti di lavoro e hanno fatto innalzare il livello di povertà. Molte famiglie cristiane hanno dovuto lasciare la Terra Santa per sopravvivere e per dare un futuro migliore ai propri figli. Come Custodia di Terra Santa cerchiamo di tutelare la presenza cristiana, mantenendo posti di lavoro e sostenendo necessità vitali di molte famiglie cristiane, nonostante il lungo periodo di difficoltà.

Quello che succede nella West Bank fa il paio con le uccisioni e le distruzioni che si verificano a Gaza: com’è la situazione dei cristiani nella Striscia? Un report della Caritas parla anche di donne traumatizzate e sfruttamento minorile a Gaza: cosa subiscono i palestinesi oggi?

Se la situazione in Cisgiordania è grave, a Gaza è disumana. I cristiani, riuniti nelle due parrocchie, latina e greco-ortodossa, finora sono riusciti a sopravvivere fra disagi e difficoltà. Sono rimasti uniti nei locali parrocchiali e nelle scuole, hanno affrontato ogni genere di mancanza, supportati da sacerdoti e suore attenti e accoglienti. Negli ultimi tempi stanno terminando le scorte di viveri e di medicinali ed è difficile aiutarli perché gli aiuti umanitari non entrano a Gaza e, quando riescono a entrare, sono insufficienti. Il massacro è ancora in corso, si muore anche di fame, di sete, di mancanza di cure. In questi giorni si muore di caldo e, mentre in fila si elemosina cibo per sfamare le proprie famiglie, muoiono bambini che hanno sete e che vengono uccisi mentre chiedono acqua, elemento vitale a cui tutti dovrebbero avere accesso. Traumi, morte, sofferenze, distruzione: questo è il quadro disumano di Gaza, questo è quanto subiscono innocenti e indifesi da più di ventuno mesi.

La pace in questa situazione sembra un miraggio. C’è la possibilità di aprire uno spiraglio almeno per una trattativa seria? I Paesi dell’area e la comunità internazionale finora non sono intervenuti con decisione per fermare la distruzione della Striscia: cosa possono e devono fare per avviare un processo di pace?

Da anni mi rivolgo alla comunità internazionale con appelli accorati, a volte disperati, chiedo di intervenire con azioni vere e giuste. Basterebbe mettere in atto leggi internazionali esistenti, controllare che siano rispettate e invece nel 2025 si muore di fame e di sete. I diritti essenziali negati sono documentati, ma nessun organismo internazionale riesce a fermare la strage di innocenti a Gaza. Da tre settimane aspettiamo almeno una tregua da negoziati in corso e invece si alternano speranze e delusioni. Dobbiamo continuare a pregare e a chiedere ai potenti della terra più responsabilità. Lo devono alla storia e alle loro coscienze.

(Paolo Rossetti)

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