Era una “notte buia e tempestosa”, come inizia il romanzo mai finito di Snoopy, il cagnolino di Charlie Borwn. Il concerto, che doveva tenersi alla Sala Marna di Sesto Calende, era stato spostato all’ultimo momento in una discoteca in un altro paese perché il locale era stato invaso dalle acque del sottostante fiume Ticino. Fu una fortuna che Carlo Carlini trovò questa soluzione alternativa, perché avemmo la possibilità di assistere a una delle più indimenticabili, vibranti e eccitanti notti rock che in Italia si siano mai viste. Sul palco c’erano Joe Ely, il leggendario cantautore texano che aveva anche fatto da apertura ai Clash nei primi anni 80, e il chitarrista David Grissom che lo accompagnava in studio e dal vivo da anni. Allora però Grissom da un paio di anni era passato con John Mellencamp, per il quale aveva contribuito a due dei suoi dischi più rock e feroci, Whenever we wanted e Human wheels. C’era anche il bassista Glenn Fukunaga, il motore ritmico più potente di Austin, Texas, da dove giungevano tutti e tre e che aveva partecipato anche alle session di Oh Mercy di Bob Dylan. Da quel palco, giunsero strali di purissimo rock’n’roll.
Nel corso degli anni Grissom ha suonato con dozzine di grandi personaggi, da Buddy Guy alle Dixie Chicks, da John Mayall a Robben Ford, Allman Brothers Band, formando anche un supergruppo della corta durata, gli Storyville, con la sezione ritmica di Stevie Ray Vaughan.
Con l’esclusione di Joe Ely, Grissom e Fukunaga (e il poliedrico e fantastico batterista Bryan Austin) li ritroviamo in quello che è il quinto album solista del chitarrista, Trio Live 2020, registrato nel leggendario locale di Austin, il Saxon Pub. Il disco è un autentico showcase di uno dei migliori e più originali musicisti che gli Stati Uniti abbiano mai prodotto. Soprattutto, uno che non si è fermato alle vette già raggiunte, ma che continua a esplorare. Nella formula del classico power trio in voga alla fine degli anni 60 (Cream, Jimi Hendrix Experience) Grissom allarga il suo spettro sonoro fino alla fusion, al jazz rock, a solismi innovativi e inaspettati, dimostrando una cultura chitarristica immensa. Tutto naturalmente con la sua conosciuta verve ed energia in chiave più hard che mai. Quasi tutti pezzi strumentali, in tutto otto brani.
Come chitarrista, Grissom ha un vocabolario esponenzialmente più ampio e uno stile più personale di quasi tutti gli altri musicisti che lavorano oggi. Fa un ottimo uso di entrambi fin dai primi momenti del brano di apertura Lucy G. La canzone è un brano funk / rock mid-tempo che dà a Grissom molto spazio per scavare nelle sue tasche apparentemente infinite di idee e frasi. Evita il cliché pentatonico che definisce così tanti chitarristi e si concede invece linee, accordi e intervalli che esistono al di fuori del tipico roots rock. Grissom non suona mai quello che ti aspetteresti da lui e qui sta la sua genialità.
Grissom e la sua band reinventano completamente lo standard blues Crosscut Saw. Si prende enormi libertà con l’idea stessa del blues, rimuovendo la travolgente tonalità dominante del genere e sostituendola con melodie, modi e sospensioni di accordi che rasentano la fusione blues. Si presenta come più legato a personaggi come Robben Ford ed Eric Johnson che a SRV e Hendrix e porta senza paura tutto questo in un nuovo territorio. Anche quando torna a uno stile più interiore in Don’t Lose Your Cool di Albert Collins, Grissom evita ancora di suonare come chiunque tranne se stesso e dimostra quanto spazio di manovra esista in una melodia così spesso rifatta da tanti.
E’ un peccato che, anche per colpa di un carattere non facile e problemi di dipendenza, Grissom non sia oggi tra le massime star del rock americano, ma chi cerca un sapore più evoluto della musica roots americana troverà qui pane per i suoi denti.
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