Ancora non si sa quali saranno i dazi Usa cui saranno sottoposte le merci importate dall'Ue a partire dal 1° agosto

Ieri sono partite le prime lettere di Donald Trump sui dazi destinate a Giappone, Corea del Sud, Malesia, Kazakistan, Sudafrica, Laos e Myanmar, con l’indicazione delle tariffe che, come aveva spiegato il segretario al Tesoro Scott Bessent, intervistato dalla Cnn, entreranno in vigore il 1° agosto. Dunque ci sono ancora circa tre settimane di tempo per cercare di raggiungere un accordo tra Stati Uniti e Ue. Il che, se da un lato può consentire di spuntare condizioni migliori per il Vecchio continente, dall’altro non aiuta a rendere il clima più certo per gli operatori economici.



Come evidenzia Marco Fortisdirettore della Fondazione Edison e docente di economia industriale all’Università Cattolica di Milano, “l’incertezza legata ai continui rinvii e cambiamenti in questa girandola dei dazi rappresenta il costo principale che le nostre imprese stanno affrontando in questo momento”.



Concretamente in che modo stanno pagando questo costo?

Ci sono imprese che hanno rapporti con la grande distribuzione internazionale e dovrebbero chiudere o aggiornare i listini, ma senza sapere a quali tariffe saranno sottoposti i loro prodotti non hanno tutti gli elementi per ponderare le loro decisioni in merito. Lo stesso discorso vale per le controparti americane, che aspettano di capire quanto costeranno le merci europee, anche in rapporto a quelle alternative cinesi o di altri Paesi con i quali sono ancora in corso trattative sulle tariffe.

In questi giorni ci sono state diverse stime, anche da parte delle associazioni di categoria, sugli impatti che potrebbero avere sull’export italiano dazi al 10% piuttosto che al 20%. Cosa ne pensa?



Credo vadano fatte almeno due considerazioni in merito. La prima è che queste analisi non possono certo incidere sulle trattative in corso, in particolare sulla posizione americana; al massimo possono influenzare la posizione del Governo nei riguardi di Bruxelles, che deve però rappresentare 27 Paesi membri. La seconda è che occorre rendersi anche conto di cosa significhino concretamente certe stime.

Cosa intende dire?

La scorsa settimana la Svimez ha stimato in una diminuzione dell’export italiano verso gli Usa di 2,9 miliardi di euro l’impatto dei dazi al 10%. Forse non ce ne rendiamo conto, ma si tratta di una cifra analoga all’aumento del nostro export realizzato nei primi quattro mesi dell’anno nei confronti di 5 Paesi europei in ripresa, Germania in particolare.

Le stime di Confindustria sull’impatto di dazi al 10% parlano, però, di una diminuzione dell’export di 20 miliardi di euro entro il 2026…

C’è una forbice così ampia tra queste stime che mostra come sia di fatto impossibile fare previsioni sugli effetti che i dazi potrebbero avere sull’export italiano. Ci sono, infatti, prodotti con una domanda più rigida di altri, bisognerebbe pertanto compiere analisi microeconomiche per ogni singolo prodotto prima di arrivare a una stima totale. Oltretutto in questi mesi ci sono stati fenomeni di accaparramento delle merci con flussi commerciali totalmente drogati. Questo mi fa pensare che per quest’anno sia davvero difficile fare analisi e previsioni sull’export verso gli Usa.

Tra l’altro sull’export verso gli Usa sta incidendo anche un dollaro che si è svalutato di oltre il 10% nei confronti dell’euro da inizio anno.

Bisognerebbe vedere anche l’andamento del cambio del dollaro con le altre valute, in particolare lo yuan, per capire se si è magari creato nel frattempo un vantaggio competitivo nei confronti delle merci cinesi. Penso, in ogni caso, che occorra vedere la cosa sul lungo periodo, non è detto che ci siano state modifiche strutturali dei flussi commerciali con 4-5 mesi di dollaro debole.

La Cina ha intanto deciso di escludere le imprese europee di dispositivi medici dai bandi pubblici. C’è il rischio di veder penalizzato l’export Ue anche da parte di Pechino?

Francamente quello che mi pare più preoccupante dal punto di vista europeo, ma soprattutto tedesco, è il cambiamento radicale del profilo della domanda interna cinese. Questo fattore strutturale, particolarmente visibile, per esempio, per quanto riguarda le auto elettriche, ha effetti importanti sull’export dell’Ue. Anche il lusso italiano sta faticando un po’: il mercato cinese non sembra essere più quell’Eldorado che appariva fino a qualche tempo fa.

C’è il rischio che i prodotti cinesi invadano il mercato europeo?

Il problema principale, in effetti, è che vedendo parte del mercato americano precluso dai dazi, la Cina possa dirottare una grande quantità di merci verso l’Ue. Certo è che sono ormai anni che arrivano molte merci cinesi in Europa, ma non ci preoccupiamo più di tanto. Nei primi anni Duemila abbiamo subìto un’invasione di prodotti per quanto riguarda tessile e calzature. Tramite i dazi anti-dumping Ue c’è stato tempo per le imprese italiane di riposizionarsi su produzioni di gamma più elevata, diversificando anche i mercati di sbocco.

Conseguenze negative ce ne sono state, in termini di posti di lavoro e numero di imprese attive in quei settori, ma siamo riusciti a superare una crisi a confronto della quale la vicenda dei dazi Usa appare come acqua fresca.

Serviranno ancora dazi Ue contro la Cina?

Non sarebbe questa la soluzione. Io non temo l’invasione cinese, perché è già in atto: dalla Cina oggi arriva di tutto e di più e in certi settori è difficile che si possano causare altri danni, mentre in altri possiamo contare e puntare sul differenziale di qualità ed efficienza del prodotto.

Cosa conviene fare in questi giorni in attesa di capire quale sarà l’esito finale delle trattative tra Usa e Ue?

Le imprese dovranno mantenere i nervi saldi e valutare anche le strategie da attuare in base alla loro specifica esposizione al mercato Usa e al livello di rigidità della domanda dei beni che producono. Pensare a diversificare i mercati di sbocco è senz’altro un’utile strategia. Poi bisognerà anche vedere quale sarà la griglia finale di questi dazi, che magari potrebbero colpire di più la Cina e quindi dare un vantaggio competitivo ai prodotti italiani ed europei.

(Lorenzo Torrisi)

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