La lettera di Trump all'Ue è arrivata e ha portato una brutta sorpresa: dazi al 30% che scatteranno dal 1° agosto

Calma e sangue freddo: l’invito del Presidente della Confindustria Emanuele Orsini ha il sapore del consiglio di un vecchio saggio, ma sarà difficile per l’Italia e per l’Unione europea reagire al duro colpo scagliato da Donald Trump: dazi aggiuntivi del 30% su tutte le merci esportate negli Usa e guai se la Ue reagisce con ritorsioni.



È una minaccia, scrive il Financial Times, e colpisce anche il Messico, mentre il Presidente americano tuona contro il Canada e il suo Primo ministro Mark Carney il quale aveva reagito con calma e sangue freddo, mantenendo però la barra diritta in difesa dei propri interessi nazionali.

Quel che ha intenzione di fare Bruxelles, stando alle dichiarazioni ufficiali, ma l’Ue si è cullata troppo a lungo nella illusione di poter chiudere presto la partita con un 10% come ha fatto Londra. Una speranza coltivata apertamente anche dall’Italia uno dei Paesi più danneggiati.



I rapporti con gli emissari americani evidentemente non hanno funzionato, le colombe come il segretario al Tesoro Scott Bessent sono state cacciate dai falchi, i suoi toni rassicuranti sono stati presi troppo sul serio.

Le reazioni venute ieri dal mondo dell’industria e dell’agricoltura sono molto allarmate. Il colpo è durissimo, il bollettino della Banca d’Italia aveva stimato una riduzione del prodotto lordo di circa mezzo punto percentuale di qui al 2027, ma pensava che al massimo le tariffe potessero arrivare al 20%. Può darsi che il primo agosto il negoziato si concluda proprio su questa percentuale, in ogni caso sarà il doppio della soluzione britannica.



Secondo Bankitalia, l’impatto negativo sul Pil sarebbe stato dello 0,2% quest’anno, sembra poco, ma l’intera economia dovrebbe crescere, al netto dei dazi, appena dello 0,6%, mentre la produzione industriale, dopo un breve risveglio ad aprile è tornata a scendere (e sarebbe il mese numero 27). La manifattura non si è più ripresa dopo la mazzata energetica provocata dall’invasione russa dell’Ucraina. Forse gli economisti di via Nazionale questa volta sono troppo ottimisti.

La lettera di Trump è intimidatoria e non è una novità. Si rivolge alla “Egregia Signora Presidente”, la invita “a partecipare alla straordinaria economia degli Stati Uniti”, ricorda che “abbiamo avuto anni per discutere delle nostre relazioni commerciali con l’Unione europea” e “il nostro rapporto è stato tutt’altro che reciproco”.

Quindi, “a partire dal 1° agosto 2025, applicheremo all’Unione europea una tariffa doganale pari solo al 30% sui prodotti Ue spediti negli Stati Uniti, distinta da tutte le tariffe settoriali. Le merci trasbordate per eludere una tariffa doganale più elevata saranno soggette a tale tariffa”.

Se è così, il 30% dovrebbe aggiungersi al 25% applicato su auto, acciaio e alluminio. Sarebbe davvero disastroso. L’Ue viceversa “consentirà agli Stati Uniti un accesso completo e aperto al mercato, senza l’applicazione di alcuna tariffa doganale, nel tentativo di ridurre l’ampio deficit commerciale. Se per qualsiasi motivo deciderete di aumentare i vostri dazi e di reagire, l’importo di cui deciderete di aumentarli verrà aggiunto al 30% che vi applicheremo”.

Venite a produrre negli States, scrive Trump, ammesso che sia possibile e vantaggioso certo non può essere fatto dall’oggi al domani, ci vorrebbero anni. E sarebbe anch’esso distruttivo per la maggior parte delle filiere produttive oggi esistenti.

L’Unione europea, insomma, viene presa per la gola. È vero, è una minaccia, ma i toni e contenuti non sembrano indicare la volontà di trattare seriamente. Che fare? “Rimaniamo pronti a continuare a lavorare per raggiungere un accordo entro il 1 agosto.

Allo stesso tempo, adotteremo tutte le misure necessarie per tutelare gli interessi dell’Ue, inclusa l’adozione di contromisure proporzionate se necessario”, scrive un comunicato della Commissione e non nasconde che il 30% “interromperebbe catene di approvvigionamento transatlantiche essenziali, a scapito di imprese, consumatori e pazienti su entrambe le sponde dell’Atlantico”.

Da palazzo Chigi è uscito uno scarno comunicato per ribadire “il pieno sostegno” all’Ue, ma avverte che “una guerra commerciale non avrebbe alcun senso”. Poche parole che nascondono molto imbarazzo anche perché il Governo italiano si era speso per gettare acqua sul fuoco dichiarando di essere pronto ad accettare un rincaro del 10%. A questo punto non c’è nessuna “relazione speciale” da far valere.

La Coldiretti parla di “un colpo mortale al made in Italy”. E stima che “con dazi al 30%, le tarie aggiuntive arriverebbero al 45% per i formaggi, al 35% per i vini, al 42% per il pomodoro trasformato, al 36% per la pasta farcita e al 42% per marmellate e confetture omogeneizzate”. Secondo l’Unione italiana vini, “sarebbe quasi un embargo per l’80% del vino italiano”.

Per la Confcooperative è un “colpo da ko”. La voce principale dell’export anche verso gli Usa non è l’agro-industria, ma la meccanica strumentale, nei giorni scorsi l’associazione dei produttori sosteneva che un 10% in più sarebbe stato sostenibile vista la qualità delle merci italiane. A questo punto dovrà rifare i conti.

Oggi pomeriggio si riuniranno a Bruxelles i rappresentanti permanenti dei 27 Stati dell’Unione, per entrare nei dettagli. La linea di condotta è stata negoziare senza preclusioni, tenendo pronto un pacchetto di contromisure; sarebbero dovute scattare già domani, ma sono state sospese, del resto questa tattica non ha funzionato con il Canada. Il punto è se l’Ue con il suo grande e ricco mercato non ha da far valere i propri punti di forza come ha fatto la Cina.

Pechino non è sfuggito alle tariffe (30%), ma ha usato il suo predominio sulle terre rare come arma di scambio. Vedremo su che cosa potrà far leva l’Europa. Mentre già si levano voci su un approccio caso per caso e Paese per Paese, che sarebbe rovinoso proprio perché non esiste nessuna catena produttiva basata su un rapporto bilaterale.

Il commercio internazionale non è fatto di merci prodotte interamente in un Paese e poi esportate, ma è composto da complesse catene in tutti i settori, dalla farmaceutica, all’auto, dalle alte tecnologie agli stessi prodotti alimentari. È una realtà che Trump non vuol vedere, anche se finisce per far del male agli stessi americani.

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