DECRETO LIQUIDITÀ/ E tasse, gli errori che portano le imprese a rischio chiusura

- int. Guido Crosetto

Il decreto liquidità prevede tempi lunghi e taglia fuori le imprese in difficoltà prima dell’emergenza. Da sospendere subito i paletti sui rating di Basilea 1, 2 e 3

baby squillo (Pixabay)

“Siamo come un paziente colpito da un ictus. Il problema non è portarlo nell’ospedale migliore o sottoporlo alle cure migliori. A salvargli la vita è soprattutto il tempo che ci metto a soccorrerlo. Può essere utile anche il peggiore dei medici se lo prendo subito; non può bastare il migliore dei medici o la migliore delle terapie se arrivo in ritardo. La tempestività nel far arrivare la liquidità al sistema imprenditoriale è esiziale”. Usa questa metafora Guido Crosetto, imprenditore e presidente dell’Aiad (Federazione delle aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza) per individuare la posta in gioco dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto liquidità, che fissa le garanzie a supporto della liquidità a favore delle attività colpite e affondate dal coronavirus, un provvedimento che nelle intenzioni del governo dovrebbe smuovere 400 miliardi di finanziamenti.

Che cosa le piace del decreto liquidità?

La quantità di risorse che dicono di voler mobilitare è quella giusta, in questo momento, come prima misura.

Però?

Gli strumenti e il metodo mi lasciano due perplessità. La prima: pensare che la crisi possa passare solo con un sovraindebitamento delle imprese, anche se garantito dallo Stato, è un azzardo. Non può passare così. Servono altri strumenti “a fondo perduto” per integrare i fatturati mancanti.

E la seconda?

Strumenti e procedure per erogare i finanziamenti rischiano di allungare le tempistiche, escluse le attività con giro d’affari fino a 25mila euro. Un timore confermato anche dalle prime dichiarazioni del presidente dell’Abi, Patuelli.

Troppo ruolo discrezionale concesso alle banche?

Le banche devono fare un’istruttoria e per tutti i prestiti al 90% o all’80% non sappiamo quanto potrà durare. In secondo luogo, non sono coinvolte solo le banche, ma anche i Confidi, il Mediocredito, la Sace. Una responsabilità suddivisa tra più soggetti, che in Italia è un fatto molto preoccupante, perché alla fine tutto diventa più lungo e farraginoso.

Perché dice molto preoccupante?

Perché noi avevamo bisogno ieri di immettere liquidità nel sistema.

La potenza di fuoco – con un effetto leva fino a 400 miliardi – è credibile in un paese che fatica a mettere davvero i soldi sul piatto?

Premessa: anche questo intervento è a saldo zero. Non è che il governo ha stanziato 400 miliardi. Si parla di un miliardo che viene spostato da un capitolo di spesa a un altro. Non c’è un euro in più di spesa pubblica. Si tratta di una garanzia il cui chip del governo è pari allo 0,5% della massa attivabile, partendo dal presupposto che il 99,5% degli italiani rimborserà il debito. Quanto all’effetto leva, quei 400 miliardi li vorrei prima vedere: se mettessimo in circolo 400 miliardi, stapperei bottiglie di champagne per il Paese…

Ci sono altri interventi che suscitano perplessità?

Avrei abolito tutte le pretese dello Stato sotto qualunque forma: Iva, Irpef, Irap, tasse arretrate, contenziosi tributari. E non avrei escluso le aziende già in difficoltà prima dell’emergenza coronavirus. Così si taglia fuori a priori una parte rilevante del panorama produttivo italiano, molte imprese che hanno conti correnti incagliati, magari uno sui cinque-sei normalmente utilizzati. Aziende che rischiano la chiusura. L’eccezionalità del momento richiedeva invece che si aiutassero tutte le imprese.

Lei si è detto favorevole anche alla sospensione di Basilea 1, 2 e 3. Perché è importante?

Per adesso valgono ancora tutte le regole e i rating di affidabilità, per le persone fisiche e giuridiche, di Basilea. Ma con tutti questi paletti alla fine le banche avranno maggiori difficoltà nelle loro istruttorie. Gli accordi di Basilea, già insensati nei cicli economici normali e oggi addirittura surreali, vanno sospesi dall’Eba, immediatamente e fino a fine anno, perché non sono rispettabili. E poi perché l’Europa è l’unica area del mondo ad adottarli. Gli Stati Uniti non li hanno.

Come garantire che i soldi arrivino davvero alle imprese?

Per carità, facile criticare e difficile fare, governare una disgrazia così è difficilissimo, soprattutto in Italia dove non si hanno a disposizione tanti strumenti, però va assolutamente garantito che la liquidità arrivi velocemente e arrivi a più soggetti possibili. E lo si può fare, adesso sburocratizzando le pratiche il più possibile e, una volta chiusa l’emergenza, avviando i necessari e rigorosi controlli per scovare i furbi con pesanti sanzioni. Conoscendo bene la situazione dei loro clienti, è giusto affidare alle banche uno screening iniziale dei beneficiari.

Secondo lei, come si possono tenere accesi i motori del sistema imprenditoriale italiano per consentire la ripresa il prima possibile?

Il primo passo è far ripartire tutte le attività che possono ripartire in condizioni di massima sicurezza, con obblighi ben precisi, dalle mascherine al distanziamento e ove necessario ricorrendo anche all’utilizzo di tute, occhiali o guanti. Se i supermercati non hanno chiuso, ci saranno sicuramente migliaia di aziende i cui lavoratori possono tornare in fabbrica in condizioni di sicurezza maggiori rispetto a quelle delle cassiere.

Sulla fase 2 di cui si parla in questi giorni, il governo si sta muovendo con la dovuta tempestività?

Il problema del governo è la lentezza dell’Europa. Sgraverei il governo da questa colpa. La nostra debolezza dal punto di vista economico fa sì che il governo sia costretto a temporeggiare: sta aspettando l’Europa.

A proposito di Europa, dopo l’Eurogruppo e in attesa del prossimo vertice dei capi di Stato e di governo che risposte si aspettano gli imprenditori?

La Ue ha diverse soluzioni. La prima, lasciar fare a ciascun paese, utilizzando la Bce per acquistare i titoli di Stato, come sta già avvenendo, e vediamo finché dura. La seconda: far ricorso ai fondi della Bei per le imprese. La terza: utilizzare il bilancio europeo, non con finanziamenti dei singoli Stati, ma autonomamente, emettendo titoli di Stato Ue per riversarli nell’economia reale.

Cioè adottando gli Eurobond?

Che li chiamino come vogliono. L’Europa, anziché renderci meno di quel che versiamo nelle sue casse, metta i soldi che prende a prestito.

L’obiezione è che la Ue non ha entrate fiscali proprie. Cosa risponde?

Vero, intanto però mettiamoli e vediamo come vengono acquistati dal mercato. L’importante è che arrivino soluzioni veloci. La tempestività è cruciale.

Mes senza condizionalità sì o Mes senza condizionalità no?

Ho votato no al Mes quando ero parlamentare e non l’ho citato tra le possibili soluzioni. E’ una domanda superflua.

(Marco Biscella)







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