Giovedì scorso a Caracas, mentre teneva un discorso in una manifestazione dell’opposizione di cui è leader riconosciuta, nella località di Chacao, Maria Corinne Machado è stata arrestata. La leader dell’opposizione venezuelana è stata prelevata di forza dopo che era salita su una motocicletta e, quindi, arrestata da elementi della Guardia bolivariana governativa e portata via.
Ovviamente la notizia ha fatto immediatamente il giro del mondo e le reazioni a livello internazionale hanno costretto l’attuale e appena confermato leader Nicolas Maduro a rilasciarla dopo poche ore, temendo una ripercussione negativa contro il regime chavista che ormai opera in forma dittatoriale, con elezioni pilotate e accordi mai rispettati con un’opposizione che, nel corso di tutti questi anni, si è dimostrata divisa, soprattutto nei leader che alla fine venivano soggiogati al potere.
È ovvio che in un contesto simile e soprattutto in un Paese ricchissimo, ma che il chavismo ha portato alla rovina totale e una conseguente povertà assoluta (accompagnata da reazioni internazionali che producevano decisioni di embarghi di vario genere contro il regime ma sotto sotto lo finanziavano attraverso scambi economici), il contesto attuale pare che abbia raggiunto quell’unità granitica attraverso una leader finalmente coraggiosa, accompagnata da una maggioranza popolare che reagisce positivamente attraverso partecipazioni massive alle proteste.
Difatti quella di giovedì ha decisamente rotto le uova nel paniere delle relazioni politiche interne con il rischio di far naufragare la cerimonia d’inizio del nuovo mandato presidenziale di Maduro, che poi si è rivelata un fiasco solenne, visto che appena due Presidenti di nazioni latinoamericane (Cuba e Nicaragua) hanno partecipato all’atto, ricevendo però fortissime critiche da parte di leader di questo Continente che finora si erano mostrati consenzienti al regime (Brasile e Messico in particolare).
La situazione appare quindi quanto mai incerta e il potere sta attraversando una crisi profonda, nella quale ogni previsione è possibile: da quella di dimissioni guidate in modo da salvare Maduro & C. da responsabilità, fino allo scoppio di una guerra civile nel Paese caraibico.
Pochi giorni prima della protesta massiva che poi si è conclusa con il momentaneo arresto di Machado, lo stesso Maduro aveva organizzato una manifestazione con lavoratori di imprese, ovviamente gestite dal potere, dove, dopo aver illustrato ai presenti il pericolo di un colpo di Stato, distribuiva armi di origine russa incitandoli a difendere la Repubblica bolivariana da presunti attacchi armati dell’opposizione.
Altro episodio di debolezza del regime è stato quando, una volta liberata Machado, il braccio destro del potere chavista di Maduro, Diosdado Cabello, si è letteralmente burlato del popolo venezuelano e di Corinne Machado mostrando una borsa di colore azzurro che, secondo lui, era stata sequestrata alla leader e che risultava piena di droga: una vera e propria farsa mediatica di un potere che non sa più a che santo votarsi.
Dobbiamo registrare anche che, nei giorni immediatamente precedenti l’assunzione del nuovo mandato, si è verificata un’ondata di arresti che ha portato alla sparizione di Enrique Marquez, leader del partito “Centrados”, appartenente all’opposizione. Crediamo che quest’ultimo fatto abbia alla fine portato Machado alla decisione di apparire in pubblico, dato che risultava presente in Venezuela ma non si sapeva dove, viste le ragioni di sicurezza dovute a un mandato di arresto che da tempo l’aveva colpita.
Quello che più preoccupa l’attuale potere è che la protesta non riguardi più solo la maggioranza della popolazione, ma anche il gigantesco apparato militare dove in molti sono pronti a disertare per unirsi alla gente: fatto che si collega direttamente non solo alla distribuzione di armi ai lavoratori, ma anche a decine di filmati di propaganda che riguardano le difese approntate dal chavismo, pronte ad entrare in azione in caso di quell'”invasione” internazionale prospettata dai discorsi di Maduro non solo odierni, ma anche di anni fa.
Ora, come ripetiamo, la paura di ritorsioni finalmente profonde e che trovano un grande accordo internazionale obbligando il Paese a ripetere le elezioni, è grandissima e per questo ci troviamo di fronte a un’incertezza sul futuro prossimo della bellissima nazione caraibica.
Bisogna però ricordare un fatto che accadde nel 1998, quando si convocarono le elezioni che poi diedero l’inizio del regime chavista: il risultato che permise a Chávez di vincere con 3.673.685 voti contro il candidato del partito “Projecto Venezuela”, l’ex Governatore di Cardabobo Henrique Salas Romer, che ne ottenne 2.879457. Chi scrive era presente nel Paese in quel periodo e da tempo si era registrata una disgregazione politica di una democrazia immersa non solo nel caos più totale di divisioni interne, ma anche in scandali a ripetizione che la stavano logorando: quello che Salas Romer tentò di fare (senza riuscirci, purtroppo) fu un progetto finalmente radicale di sviluppo del Venezuela verso un sostanziale progresso supportato anche da una giustizia finalmente indipendente che avrebbe dato quella spinta necessaria per uscire definitivamente dalla crisi. Ma purtroppo i vecchi leader politici non supportarono sufficientemente la cosa e parte della gente preferì dare la sua fiducia a un golpista che predicava la democrazia profonda, ma che, proprio nel corso della campagna elettorale, frequentava Fidel Castro in continuazione, con ripetuti soggiorni all’Avana.
Parlai con molte persone su questa distonia assurda, ma, sebbene la gran maggioranza ne fosse perfettamente cosciente, preferirono un voto di protesta basato sull’astensione invece di dare fiducia a un progetto nuovo che, anche se non accompagnato dalla certezza della sua riuscita, avrebbe sicuramente rappresentato un’alternativa democratica al caos totale che stavano vivendo e soprattutto una prospettiva che avrebbe significato la dittatura. Ebbene: “il Partito dell’astensione” o dei voti in bianco vinse in pratica le elezioni (4.459.878 suffragi), ma consegnò il Venezuela a un regime militare.
C’è da credere che le proteste massive che si sono registrate dappertutto dopo la scoperta del bluff delle ultime elezioni, la continuità delle stesse e soprattutto il coraggio della gente di coinvolgersi direttamente, senza paura, per il ritorno della democrazia, siano segnali fortissimi che la lezione è stata capita e che solo attraverso la partecipazione all’eventuale nuova tornata elettorale sarà possibile quella politica del bene comune che è l’unica in grado di sviluppare progresso.
Viene da chiedersi se questa lezione, dopo l’esempio venezuelano, saremo in grado di attuarla anche in un’Italia che sta sparendo nella peggior crisi dalla fine della Seconda guerra mondiale e dove “il Partito dell’astensione” risulta ormai essere il vero vincitore con il rischio di populismi che farebbero sparire definitivamente quella democrazia che ormai difendiamo solo a parole: ma non con fatti concreti nella pretesa di una politica fatta da statisti veri che ci riportino al progresso di cui abbiamo goduto fino a non molti anni fa.
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