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Home » Sanità, salute e benessere » DIETRO L’EMERGENZA COVID/ Un modo di vivere ridotto a mansionari e protocolli

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DIETRO L’EMERGENZA COVID/ Un modo di vivere ridotto a mansionari e protocolli

Carlo Bellieni
Pubblicato 7 Marzo 2021 - Aggiornato alle ore 08:08
Terapia intensiva (LaPresse)

Terapia intensiva (LaPresse)

La pandemia da Covid ha mostrato un mondo impreparato a progetti di lungo periodo e sguardo ampio. Vige solo la legge del domani-mattina

Se un merito il Covid ce l’ha, è che ha messo di fronte a tutti una falla nascosta per decenni, e che per decenni ha eroso la nostra vita sociale stravolgendola. Ci voleva una pandemia per farla venire a galla (e capire perché col Covid tutto è venuto giù).

Ecco la falla che ha eroso la convivenza e l’ha resa incapace di reagire in tempo ed efficacemente al Covid: la nostra vita e quella dei nostri popoli non va oltre la visione del domani-mattina. I popoli sono diventati capaci solo di progetti a corto raggio, la loro convivenza si basa su leggi e protocolli creati per le necessità del momento, le loro politiche sono fatte sui sondaggi del momento, in risposta ai dati del momento e non su una visione larga e lungimirante. Questo ha fatto trovare il mondo impreparato al Covid e ha portato al crollo.


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Recentemente il Journal of Global Faultlines spiegava che l’impreparazione di Usa e Gran Bretagna alla pandemia nasce dal disinvestimento in sanità dovuto al neoliberismo esploso dopo la crisi del 2008. Ma a guardar bene, tutto il mondo occidentale è risultato impreparato e la causa è ben più profonda. Il tessuto del mondo occidentale infatti è costituito di persone-monadi che non costruiscono legami sociali ma contratti (per esempio quello medico-paziente) finalizzati a risultati di riscontro immediato. È sparito il futuro, resta solo il domani-mattina.


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La rivista Leadership Management, che certo non è l’ultima ad avere voce in capitolo nei processi gestionali, così si lamenta: “nel caso dell’emergenza Covid-19, già due mesi prima del manifestarsi, era evidente per le imprese occidentali quanto stava accadendo in Cina nel corso dell’epidemia sanitaria. Questo avrebbe dovuto far scattare immediatamente l’allarme nelle organizzazioni dotate di buoni sistemi di sorveglianza strategica, in modo da non essere colte alla sprovvista dall’emergenza sanitaria”. Invece le priorità di questi Paesi erano altre, altre erano le elezioni in vista per arrivare alle quali sembrava ottimo tagliare nei settori che invece avrebbero fatto resistere all’impatto del Covid. E l’epidemia ha rivelato l’obsolescenza delle strutture, dei piani di assunzione, dei progetti di prevenzione.


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Il British Medical Journal in gennaio invoca troppo tardi un cambio di monitoraggio nel futuro dei sistemi sanitari per renderli preparati alle nuove sfide. Ma la capacità di preveggenza è sparita: leggiamo, nelle pagine della Fondazione Feltrinelli, che contro le catastrofi ambientali “non si tratta solamente di incapacità di gestione di problemi già evidenti, ma dell’incapacità di prevederli prima che si manifestino”.

Insomma, il re è nudo e lo ha spogliato la catastrofe. Ma il re era già malato prima, il Covid lo ha solo rivelato, tanto che il sistema sanitario-sociale-economico globale rimane basato sui brevissimi tempi e su rigidi protocolli. Ora infatti si sta occupando di un solo problema e solo in un modo. Di un solo problema, perché tutte le altre prestazioni sanitarie che non sono Covid sono rimaste in secondo piano, e in un solo modo, perché del Covid si vuole evitare le morti mentre le altre conseguenze (psicologiche, economiche ecc.) sono là, trascurate, in secondo piano.


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Questo cambiamento ontologico riguarda tutti noi: cifra della vita sociale oggi è pensare senza lungimiranza, ad esempio pensando solo a obbedire alla propria mansione descritta nel contratto con tanto di orario da non eccedere. Nell’antichità il mondo non era migliore, ma si erigevano opere che richiedevano generazioni per essere finite e che sarebbero durate nei secoli, dalle piramidi alle strade consolari. Il Covid ha mostrato che oggi vige la legge del domani-mattina. Figli di questo sistema in-previdente, di questa società dei protocolli che obbedisce pedissequa a quanto prescritto, sono tanti: dal mondo della costruzione (dove gli architetti costruiscono senza abitare il posto prima di costruire, cioè senza conoscere, annusare, amare il luogo e i materiali, facendo strutture tutte uguali e tutte fuori posto e finiscono troppo spesso nei luoghi di rischio geologico); a quello della produzione (costretto oggi a produrre non beni primari ma generi di scarsa utilità usa-e-getta, che sotto il Covid diventano inutili e quindi generatori di disoccupazione).


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Siamo rigidi, sappiamo seguire solo schemi rigidi, che vogliamo sempre più rigidi tanto da invidiare noi umani la loro inflessibilità (come diceva Gunther Anders spiegando il concetto di “invidia prometeica”). E non è un problema solo dei governi, ma riguarda il lavoro in fabbrica, in ospedale, a casa, ridotto a mansionari e protocolli. Ci hanno fatto desiderare di essere come i chip dei computer, di decidere automaticamente sulla base dei sondaggi e dei quattro dati che i momento ha selezionato; tralasciando il resto, senza guardare oltre. Ma in fondo ci interessa solo il domani-mattina, non il futuro.


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