Mite, di poche parole, sempre pronto a intercettare il bisogno degli altri, a cercare risposte concrete, a colmare le distanze che creano emarginazioni e solitudini. Molti descrivono così don Roberto Malgesini, il prete accoltellato e ucciso ieri a Como per mano di un immigrato. Alle 7 di mattina, mentre stava preparando l’occorrente per le prime colazioni da portare ai senzatetto, come ogni giorno, è stato colpito da una furia omicida, un gesto di follia (il movente è ancora sconosciuto) commesso da un tunisino di 53 anni, con precedenti penali e più di un decreto di espulsione dall’Italia, che si è poi costituito.
Un fatto drammatico, che ha gettato nell’incredulità e nello sgomento l’intera città: innanzi tutto i suoi amici, un numero incalcolabile di persone che in lui avevano trovato un appoggio, un soccorso immediato, qualcuno persino un accompagnamento paterno per imboccare la strada di un’integrazione sociale possibile.
Ieri il dolore, per molti mescolato a un senso di ribellione per l’uccisione “insensata” del prete di 51 anni, un dolore che sembrava aver improvvisamente contraddetto il bene e la speranza seminati, si è misurato con le storie reali. Tante e variegate vicende sono apparse ancorate a segni luminosi, al ricordo di un’esperienza impastata di compagnia, di una fraternità che resiste nel cuore e nei pensieri, incancellabile. L’immagine di Don Roberto è affiorata così dai ricordi di quanti lo hanno conosciuto, in una dimensione che va oltre la definizione del “prete di strada” che attraversa contraddizioni disperanti e spesso giudicate insanabili, quasi contrapponendosi anche senza volerlo alla vita sociale che scorre in un alveo diverso.
Nel suo agire ininterrotto e infaticabile per strappare dall’abbandono esistenze provate, bisognose di una mensa, di un dormitorio, di una visita medica, di coperte, di un certificato, di un lavoro… don Roberto testimoniava la sua fede, la sua passione per la vita umana, contagiava chi lo incontrava e anche tanti giovani che si aggregavano attorno a qualche sua iniziativa.
“Non era un prete mediatico, non amava mettersi in mostra o fare discorsi da capopopolo sulle contraddizioni sociali, era un sacerdote che svolgeva il suo ministero a servizio dei più poveri, senzatetto, immigrati, prostitute, carcerati” suggerisce don Andrea Messaggi, sottolineando che ogni sua iniziativa era decisa con il consenso e la benedizione del vescovo Oscar Cantoni, fra i primi ieri ad accorrere accanto alla salma di don Roberto. “Non ha mai fondato un’associazione propria, ma entrava in contatto con le attività e opere presenti nel territorio”. “Mi ha sempre colpito la sua fede e la dedizione totale ai poveri che svolgeva con una profonda attenzione alla persona, soprattutto con un’ottica fortemente educativa” ricorda un operatore della Scuola di Cometa Formazione per l’inserimento nel mondo del lavoro. “Ci eravamo sentiti due giorni fa proprio perché voleva farmi incontrare alcuni ragazzi nei quali leggeva il desiderio di imparare l’italiano e di inserirsi in un percorso” aggiunge, notando che “rivelava una particolare sensibilità educativa, non perdeva mai di vista i ragazzi che ci affidava, ma si informava dell’andamento del loro impegno e della partecipazione”.
Ieri sera un gesto di preghiera, la recita del Rosario nella cattedrale di Como, ha reso evidente l’origine di quella fraternità vissuta e comunicata, intrecciata a tante vicende quotidiane. “Io sono convinto che don Roberto è stato ‘un santo della porta accanto’ per la sua semplicità, per l’amorevolezza con cui è andato incontro a tutti… Il suo servizio era rivolto alle singole persone per poter far sperimentare la tenerezza di Dio che si piega e si china su ognuno”: così il vescovo di Como Oscar Cantoni ieri ha richiamato l’insondabile profondità dell’amore divino che si tramette all’umanità. “Don Roberto si è donato a tutti perché mi ripeteva spesso: ‘i poveri sono la vera carne di Cristo’” ha ricordato, invitando a pregare “per don Roberto, per la sua famiglia, ma anche per colui che lo ha ucciso”.