Donne alawite: in Siria almeno 33 rapimenti nel 2025, riscatto fino a 100.000 dollari, autorità immobili e indagini assenti
In Siria si sta verificando un allarmante aumento dei rapimenti di donne alawite – un fenomeno di cui si parla ancora poco ma che coinvolge decine di famiglie e intere comunità già stremate da anni di conflitto – e secondo quanto riportato da una recente indagine di Reuters, nel corso del 2025 sono almeno 33 i casi di donne e ragazze scomparse, tutte tra i 16 e i 39 anni, con numeri in crescita soprattutto nelle province di Tartus, Latakia e Hama, dove la presenza alawita è storicamente più radicata e visibile.
Le modalità sono spesso simili: un’auto che si ferma, una ragazza che sparisce, poi messaggi anonimi, chiamate criptiche, numeri siriani e minacce, quasi sempre accompagnati da richieste di riscatto che oscillano tra 1.500 e 100.000 dollari. Famiglie intere vengono tenute sotto ricatto, mentre le autorità – quando vengono coinvolte – spesso liquidano tutto come conflitti familiari o fughe volontarie, senza fornire né spiegazioni né prove a sostegno e tra i vari casi documentati c’è quello di Abeer Suleiman, 29 anni, rapita mentre si trovava a Safita: la sua famiglia ha ricevuto comunicazioni inquietanti con minacce di morte o traffico umano, condite da richieste economiche per la sua liberazione.
Delle 33 donne alawite coinvolte, circa la metà è tornata a casa, ma nessuna di loro ha rilasciato testimonianze dettagliate – un silenzio che parla, reso ancora più pesante dal timore di ritorsioni o dall’effetto delle pressioni subite – alcune sono rientrate visibilmente segnate, fisicamente e psicologicamente, e in diversi casi, sono emersi sintomi riconducibili a trattamenti forzati, farmaci, o condizioni di detenzione violente; il fatto che questi rapimenti colpiscano in modo quasi esclusivo donne della minoranza alawita da spazio al sospetto che dietro ci sia più di una semplice criminalità disorganizzata e rafforza la percezione che si stia aprendo una nuova fase della crisi siriana, meno visibile, ma non per questo meno grave.
Donne alawite rapite, assenza di indagini e risposte ufficiali: famiglie nel silenzio, le autorità minimizzano
La questione delle donne alawite scomparse resta un tema ignorato o, peggio, minimizzato e le famiglie coinvolte, secondo quanto riportato dalle interviste raccolte da Reuters, denunciano non solo l’assenza di indagini serie ma anche un atteggiamento di sfiducia e ostilità da parte delle forze di sicurezza siriane che, in molti casi, hanno classificato le segnalazioni come litigi domestici o disaccordi privati, senza mai procedere con veri accertamenti o con l’apertura di fascicoli ufficiali.
Un portavoce della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha confermato che sono attualmente in corso verifiche su un numero in aumento di casi segnalati dal 2023 a oggi e che verrà presentato un rapporto dettagliato al Consiglio per i Diritti Umani una volta concluse le indagini e, intanto, nelle città e nei villaggi colpiti, si moltiplicano gli appelli lanciati tramite social – video, foto, messaggi vocali – dove i familiari delle donne scomparse chiedono aiuto, informazioni o anche solo attenzione, in una situazione che ha già portato molte famiglie a limitare fortemente la libertà di movimento delle figlie, alcune delle quali hanno smesso di frequentare la scuola o di uscire di casa.
A preoccupare è anche il fatto che, nei casi dove sono state inviate richieste di riscatto, in almeno tre episodi i rapitori hanno minacciato esplicitamente di vendere le ragazze all’estero, una dinamica che lascia intravedere collegamenti con reti più vaste di traffico di esseri umani, difficili da intercettare in un Paese dove le frontiere sono permeabili e la sorveglianza statale è pressoché assente; su 16 interviste ai parenti delle vittime, almeno sette casi sono stati riconosciuti come veri e propri sequestri, e in otto casi le ragazze avevano meno di 18 anni al momento della scomparsa.
Le autorità siriane, interrogate sui fatti, si sono trincerate dietro dichiarazioni vaghe con il direttore dell’ufficio stampa della provincia di Tartus che ha respinto ogni accusa di motivazione settaria dietro i rapimenti, parlando genericamente di tensioni familiari o di allontanamenti volontari, ma senza mai entrare nel merito dei singoli episodi né fornire elementi concreti ed anche la nuova struttura di accertamento creata dal governo provvisorio siriano ha finora evitato di affrontare il tema, confermando di fatto il disinteresse istituzionale per un fenomeno che continua a crescere nel silenzio generale.
