La grande produzione di elettricità da rinnovabili può aver contribuito al blackout che si è verificato lunedì in Spagna
Fino all’altro giorno la Spagna veniva indicata come un modello per il mercato elettrico europeo, grazie a un’alta produzione da rinnovabili in grado di garantire prezzi energetici più bassi e, conseguentemente, una maggior competitività del sistema economico. Ma l’improvviso blackout di lunedì, come evidenzia Davide Tabarelli, Presidente di Nomisma Energia, «porterà necessariamente a rivedere questa indicazione».
In effetti, un mix tra produzione da rinnovabili e da nucleare sembrava un modello ideale…
Il problema è che nella tarda mattinata di lunedì non c’era probabilmente abbastanza disponibilità di energia prodotta da nucleare. L’orario in cui è avvenuto il blackout, poco dopo le 12, infatti, corrisponde al momento di massima produzione delle rinnovabili ed è probabile che queste siano all’origine delle forti oscillazioni di frequenza sulla rete elettrica che possono aver determinato l’ammanco.
A quel punto, per motivi di sicurezza, la produzione delle centrali nucleari è stata interrotta. Ma come mai appena prima questa produzione potrebbe essere stata insufficiente a evitare il blackout?
Il fatto che si fosse nella fase di picco di produzione da rinnovabili potrebbe aver messo fuori dal mercato, e quindi reso meno disponibili, le fonti tradizionali, compreso il nucleare, che sarebbero potute servire a mantenere stabile il sistema. I sette reattori nucleari spagnoli sono stati comunque importanti per riportare la situazione alla normalità in un arco di tempo non eccessivo e comunque inferiore a quello che abbiamo vissuto in Italia nel 2003.
Da quello che accaduto che lezione possiamo trarre a livello di sicurezza energetica?
Possiamo trarre almeno tre lezioni, tra loro collegate. La prima è che va mantenuta una capacità di base tradizionale da integrare con le rinnovabili, visto che lunedì ce n’era troppo poca. Questo ha però un costo. La seconda lezione è che occorre effettuare anche investimenti nella rete, nei sistemi di accumulo, perché sta aumentando la complessità dei sistemi elettrici. Infine, quanto successo ci dice che la rivoluzione che in Europa stiamo cercando di portare avanti con le rinnovabili può nascondere delle insidie, perché programmarle e gestirle è piuttosto complesso.
Ci può spiegare meglio questa complessità?
Se una volta c’erano una cinquantina di grandi centrali elettriche, oggi abbiamo milioni di dispositivi di produzione – basta pensare al numero di pannelli solari presenti nel nostro Paese – e contemporaneamente miliardi di dispositivi di consumo. È evidente quanto sia difficile gestire un sistema così complesso. Per questo occorre che quando c’è una grande produzione da rinnovabili ci sia una capacità di riserva per evitare situazioni come quella che si è verificata lunedì. Non che in Spagna non lo sapessero, ma evidentemente c’è stato un problema e ci vorrà del tempo per capire con esattezza cosa non ha funzionato.
Il punto debole del sistema italiano è rappresentato, invece, dalla dipendenza dall’estero?
Sì. Abbiamo ancora diverse centrali a gas che hanno sì un costo, ma, essendo molto flessibili, garantiscono maggior stabilità della rete. Il problema è che, da quasi 40 anni, dipendiamo molto dall’importazione di elettricità, in particolare dalla Francia.
Se, dunque, il problema di lunedì avesse riguardato la Francia, l’Italia ne avrebbe sofferto…
Fortunatamente lunedì non si è verificato un collasso più ampio delle reti in Europa, ma se ci fosse stato un blackout in Francia, con il distacco delle centrali Oltralpe, ne saremmo stati colpiti anche in Italia, soprattutto al nord, che in certi momenti dipende per il 30% dei suoi consumi dall’elettricità che arriva dalla Francia e dalla Svizzera, Paese dietro cui c’è comunque anche l’energia francese.
(Lorenzo Torrisi)
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