DOPO IL CORONAVIRUS/ Un nuovo ruolo per Stato e mercato in cerca della ripresa
Sarà importante la fase 2 della ripartenza dopo l’emergenza coronavirus. Occorrerà anche un nuovo ruolo per Stato e mercato, finora visti in contrapposizione

La tanto attesa fase due, dopo il picco della pandemia, non sarà certamente facile. Perché ai problemi sanitari, che continueranno si spera progressivamente attenuati, si aggiungerà il grande problema di rimettere in moto un sistema economico stravolto dalla lunga chiusura. Gli slogan in questo momento si sprecano: nulla sarà più come prima, globalizzazione addio, lo Stato torni protagonista e così via.
Gli slogan sono facili. Ma la realtà, soprattutto ora, è molto complessa. Le stime più ottimistiche parlano di una caduta dell’attività economica tra il 10% e il 20% nel primo semestre di quest’anno con una veloce ripresa, ma non sufficiente a ritornare ai livelli precedenti, nel secondo semestre. Con l’incognita tuttavia di come potrà essere la ripresa: con attività come quella turistico-alberghiera, uno dei punti di forza dell’economia italiana, che avranno bisogno di tempi lunghi anche per l’inevitabile calo degli arrivi dall’estero.
La pandemia, così come per molti aspetti il modo cui è stata affrontata, ha messo in luce molti tradizionali problemi della società italiana. Per esempio, la complessità del rapporto tra Stato e Regioni nella gestione della sanità, così come l’incidenza perenne di una burocrazia ottocentesca nella gestione di interventi e aiuti, e ancora la mancanza di una visione solidale e partecipativa tra le forze politiche.
La politica ha fatto comunque un piccolo passo indietro nominando una commissione di esperti per esaminare e offrire indicazioni operative per avviare la ripresa garantendo il più possibile sia la salute dei lavoratori, sia le possibilità operative delle imprese chiamate a uno sforzo eccezionale per recuperare il tempo e i mercati perduti.
Presieduta da Vittorio Colao, un manager con vasta esperienza internazionale, la commissione non avrà un compito facile, non solo per definire regole e comportamenti nell’ampio spettro delle attività produttive, ma anche per cercare di attuare un cambio di passo in un sistema sociale ed economico che non è stato in grado di favorire la crescita e promuovere l’equità. Da molti, troppi anni manca in Italia una visione di medio-lungo periodo sui modelli da trovare e sulle strategie da seguire. Negli ultimi trent’anni la politica non è andata oltre la ricerca del consenso elettorale affidando le proprie fortune a misure a favore dei singoli: dai tagli delle tasse agli 80 euro, dal reddito di cittadinanza a quota 100.
È mancata sostanzialmente una prospettiva dei beni comuni, di valorizzazione della sussidiarietà, di sostegno agli enti intermedi e al terzo settore. Ma qualcosa forse può cambiare. È significativo che nella commissione di esperti per la fase due vi siano personalità attente alla dimensione sociale come Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, e Mariana Mazzucato, docente di Economia e del valore pubblico all’University college di Londra.
In un suo recente libro (“Il valore di tutto”, Ed. Laterza, pagg. 366, € 20) Mariana Mazzucato non solo presenta un’analisi originale sui limiti dell’evoluzione economica degli ultimi decenni, ma offre anche una visione in cui si superano i tradizionali modelli che contrappongono Stato e mercato. L’obiettivo è quello del “valore pubblico” con la capacità di indirizzare le scelte economiche verso i grandi temi, come quelli del cambiamento climatico, dell’invecchiamento della popolazione, del bisogno di infrastrutture, di promozione della ricerca e della formazione. Lo strumento è quello di rimpiazzare il valore per gli azionisti (shareholders value) con il valore per i portatori di interessi (stakeholder value), allargando sempre di più l’affermazione della responsabilità sociale dell’impresa.
Il ruolo dello Stato appare così fondamentale per indirizzare le scelte economiche verso il “valore pubblico” con un uso sapiente degli incentivi e delle penalizzazioni, della politica fiscale e degli investimenti. La sanità, l’istruzione, l’ambiente, sono quindi beni collettivi che devono rientrare anche tra gli obiettivi delle imprese che operano in un mercato aperto e ben regolato. Costruendo valore come avviene quando l’innovazione si affianca alla volontà di rispondere alle esigenze sociali. Anche perché il valore non è solo una dimensione monetaria, ma è anche e soprattutto una risposta ai bisogni complessivi delle persone e delle comunità, bisogni che non sono solo materiali, ma anche di soddisfazione, di crescita morale, di rispetto dei propri doveri solidali verso gli altri.
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