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Home » Economia e Finanza » FINANZA/ Prodi, Renzi e “l’inganno” del 3%

  • Economia e Finanza

FINANZA/ Prodi, Renzi e “l’inganno” del 3%

Int. Alberto Bagnai
Pubblicato 26 Gennaio 2014
prodi_dormeR400

Romano Prodi (Infophoto)

Per ALBERTO BAGNAI, finché c’è l’euro, un aumento del potere d’acquisto beneficerà le importazioni. Ottenere che l’Italia sfori il tetto deficit/Pil del 3% è solo una soluzione tampone

«Finché c’è l’euro, un eventuale aumento del potere d’acquisto degli italiani andrebbe a beneficio delle importazioni e non delle nostre imprese. Ottenere che l’Italia sfori il tetto deficit/Pil del 3% è solo una soluzione tampone che non cura il vero problema alla radice». Ne è certo Alberto Bagnai, professore di Politica economica all’Università G. D’Annunzio di Pescara. Il riordino dei conti pubblici del nostro Paese, con il rapporto deficit/Pil ridisceso al di sotto del 3%, non si è tradotto in una crescita dell’economia nazionale. Tanto che il segretario del Pd, Matteo Renzi, ha lanciato la sua proposta: “Non perdiamo più tempo, si può sforare il tetto del 3% sul deficit/Pil”. Anche perché altri Stati, indicati dalla Germania come paesi virtuosi e modelli da seguire, continuano a infischiarsene della regola del 3%, spendendo a deficit per sostenere imprese e terziario. Il Regno Unito lo ha fatto per il 6,1%, l’Irlanda per il 7,6% e la Spagna per il 6,7%


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Professor Bagnai, l’Italia non può fare altrettanto perché il nostro debito è più alto?

Con le politiche di austerità del governo Monti il rapporto debito/Pil è cresciuto di quasi dieci punti in poco più di un anno. Rinunciare all’austerità farebbe quindi scendere il rapporto debito/Pil. A contare effettivamente sono i rapporti, non i valori assoluti. Chi vuole fare politiche contro lo Stato sociale ricorre all’espediente retorico di usare il valore assoluto del debito. A contare non è però il suo ammontare complessivo, ma i redditi che la collettività nazionale può dedicare al servizio del debito stesso.


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Qual è la spirale viziosa innescata dall’austerità?

L’austerità, nel momento in cui taglia il debito, taglia gli imponibili, quindi taglia il gettito fiscale, e così di fatto inceppa il meccanismo di rifinanziamento anche degli stessi interessi sul debito. Per rientrare da un debito ingente, le terapie migliori sono quelle graduali, mentre terapie d’urto basate sui tagli sono sempre controproducenti.

Quindi hanno ragione Renzi e Prodi che propongono lo sforamento del 3%?

Il fatto oggettivo è che l’austerità ha fallito, ma questo fatto non deve trarci in inganno. Molte persone, tra cui Romano Prodi, pensano che se rimuovessimo i vincoli di carattere fiscale come il rapporto deficit/Pil del 3%, improvvisamente si avrebbe una maggiore crescita e questa metterebbe fine a tutti i problemi. In realtà, mantenendo il cambio fisso determinato dall’euro, una maggiore crescita si scaricherebbe in maggiori importazioni di prodotti stranieri. Ciò rimetterebbe l’Italia in mano ai mercati esteri.


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Insomma, non si risolverebbe nulla?

La mia sensazione è che quando si chiede che anche l’Italia possa superare il 3%, ciò rappresenti un continuo aggiungere epicicli in un sistema che mette la terra al centro dell’universo come il vecchio sistema tolemaico. Come ha detto anche Kenneth Rogoff al Forum di Davos, il cambio fisso è un colossale errore. Invece di continuare a porre dei tamponi a valle, curiamo direttamente il vero problema che è l’euro.

 

Perché però lo sforamento del 3% è consentito ad altri paesi e non all’Italia?


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Il dato oggettivo è che l’Italia ha un rapporto debito/Pil alto. La Germania sta però applicando clausole di maggior favore ai paesi verso i quali è più esposta in quanto ha prestato di più, cioè Francia e Spagna. Consente quindi loro degli sforamenti che favoriscono la crescita, proprio perché vogliono rientrare dei loro soldi. L’Italia ha al contrario una situazione che dal punto di vista strategico è diversa.

 

In che senso?

Siamo meno indebitati nei confronti della Germania, ma d’altra parte siamo dei concorrenti molto più temibili perché abbiamo posizionamenti sui mercati che prima della crisi erano molto simili a quelli di Berlino.


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Quali sono state le conseguenze?

Con la scarsa capacità di difendere gli interessi nazionali della nostra classe politica, leadership più consapevoli di alcune strategie di mercato hanno messo l’Italia alle corde imponendole l’assurdo rispetto di regole che hanno fatto peggiorare i nostri problemi. Sono al contrario stati molto più indulgenti verso Spagna e Francia perché questo permetteva alle elite del nord di risolvere il loro problema, cioè di riavere i indietro i crediti erogati.

 

(Pietro Vernizzi)

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