Signore e signori, il martire è servito. Un capolavoro assoluto. Cosa vi avevo detto del fatto che Matteo Salvini, fiutata l’aria in arrivo, abbia deciso che gli convenga “morire” politicamente sulle barricate di questo esecutivo con il profilo dell’eroe coerente fino al martirio, tanto per drenare tutto il drenabile dall’elettorato di Forza Italia ma anche M5S? In tal senso, i magistrati di Agrigento hanno stipulato in suo favore una vera e propria assicurazione sulla vita politica, indagandolo per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio, roba che nemmeno i Lloyd’s di Londra. Per una serie di motivi. Non ultimo, il fatto che se anche l’iter particolare che riguarda l’indagine relativa a un membro del Governo si mettesse nel peggiore dei modi per Salvini (cosa di cui dubito profondamente fin d’ora), il ping pong di fascicoli al riguardo tornerebbe per l’apertura della fase operativa davanti al Tribunale dei ministri fra cinque-sei mesi: ovvero, nel pieno della campagna elettorale per le europee del prossimo maggio.
Quello di Agrigento sarà anche stato un atto dovuto, non sono uomo di diritto a tal punto per dare giudizi sensati in merito, ma una cosa è certa: il ministro Salvini non cercava altro. Fin dall’inizio della vicenda Diciotti, cui la patetica passerella dei membri del Pd al porto di Catania ha offerto un coté inatteso e di effetto assicurato. E attenzione, particolare non secondario: in vista dell’abbandono dei Cinque Stelle, ecco che il richiamo alla necessità di una riforma profonda della giustizia, sembra essere il richiamo del lupo verso l’antico branco abbandonato. Zona Arcore, per capirci. D’altronde, signori, siamo ormai in pieno nel periodo ipotetico dell’irrealtà al potere.
Ad esempio, davvero l’Italia ha dato 20 miliardi all’Ue e ne ha ricevuti indietro 11? No, nel 2017 ne ha dati 14 e ricevuti indietro 11,8. Il saldo negativo, quindi, è di 2,2 miliardi circa. Tanto. Ma molto meno di quanto millanti il ministro Di Maio. E meno dei 9 miliardi di differenza negativa della Germania. O i circa 2,6 della Francia. Persino la Gran Bretagna, nonostante il Rebate ottenuto da Margaret Thatcher al vertice di Fontainebleu, è in passivo di 4 miliardi fra dare e avere. Vogliamo parlare, cifre ufficiali (mai smentite dal Governo, almeno finora) alla mano, del 2016? Pronti. In quell’anno abbiamo contribuito per 13,94 miliardi, ma siamo stati contributori netti (ovvero, al netto di quanto ricevuto indietro come fondi strutturali) per 2,5 miliardi: sempre ben lontani dagli 8 millantati dal ministro Di Maio. E a cosa sono serviti quegli 11,59 miliardi ritornati a Roma da Bruxelles? Il 44,07% per l’agricoltura, il 39,43% per politiche regionali, fondi strutturali e di coesione, l’11,60% per ricerca e sviluppo, il 2,32% per sicurezza e giustizia e il 2,32% per l’amministrazione pubblica. Siete pronti a rinunciare a tutto questo in nome di cifre false e di un “deficit” di 2,2 miliardi fra dare e avere, senza scordare che far parte dell’eurozona ci garantisce lo schermo anti-spread della Bce e la partecipazione al mercato comune più ricco del mondo, non a caso Paesi come Svizzera, Islanda e Norvegia pagano per poterne fare in qualche modo e minoritariamente parte?
E chi ci guadagna davvero tanto dall’essere europeo, molto più di noi? Chi sull’Europa sputa quotidianamente, ovvero i Paesi dell’Est: Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria. I quali versano briciole e ottengono cinque, sei, sette volte tanto. E non prendono un migrante nemmeno a pagarli più oro di quanto già l’Europa li paghi con il loro saldo attivo fra versamenti e fondi strutturali ottenuti. Sono gli amici del ministro dell’Interno, il quale domani infatti incontrerà il suo amico Viktor Orban alla Prefettura di Milano. «Nulla che riguardi il Governo, non è un incontro istituzionale», si sono precipitati a sottolineare gli alleati grillini sabato, forse dopo aver visto un sondaggio riservato in base al quale la gran parte della base, sulla questione Diciotti, starebbe con il presidente della Camera, Roberto Fico. Scricchiolii. Sempre più sinistri. Non a caso, è cominciata l’italica disciplina olimpica della discesa dal carro del vincitore.
Avete notate, anche su queste pagine? Certo, il parossismo anti-tedesco rimane, quello ormai è una patologia clinica e come tale andrebbe trattata, ma gli endorsement pieni di speranza sono terminati, i peana in nome del cambiamento epocale e della grande occasione storica, spariti. Meglio così, facevano veramente ridere. Ma quando c’è da polemizzare, stile Diciotti appunto, si guarda sempre verso Berlino e Parigi. Anzi, solo Berlino, perché la Francia avrebbe preso una quarantina dei 50 migrati di Pozzallo che le spettavano in base agli accordi raggiunti dopo il Consiglio europeo di fine giugno, quello che Giuseppe Conte dipinse come un successo e che invece, maledetta di una realtà testarda, venerdì scorso ha mostrato in pieno i suoi frutti. Soli come cani, tanto che siamo arrivati alla farsa di cercare soluzioni extra-Ue per ricollocare 150 persone, nemmeno avessimo a che fare con l’invasione delle cavallette: 20 andranno in Albania, pare. Degli altri si farà carico la Chiesa cattolica italiana. Su territorio italiano, beninteso, non presso una nunziatura apostolica in Australia. E in punta di Concordato, esenzioni varie e 8 per mille, sempre ben inteso, quindi con parte (sostanziale) dei soldi che arrivano sempre dalle tasche degli italiani. Ma questo non ditelo agli ultras del ministro dell’Interno, potrebbero restarci male.
E anche riguardo al vertice di venerdì scorso, anti-europeismo da bar come se piovesse. In primis da parte del primo ministro, riemerso dal solito buco nero di inutilità politica in cui sprofonda per lasciare spazio a Batman e Robin, leggi Salvini e Di Maio, ma solo per via social, non sia mai che tenga una conferenza stampa in cui magari qualcuno osi addirittura fargli una domanda (stiamo ancora attendendo quella annunciata prima di partire per Washington: forse alla Casa Bianca ha fatto promesse non concordate, presidente?). Signori, attenti perché alle porte c’è il festival della dissimulazione. A livello interno ed estero.
Primo, il vertice europeo di venerdì non era tale, era una riunione fra funzionari già in agenda da tempo che non aveva affatto all’ordine del giorno il caso Diciotti: quindi, attendersi risultati in tal senso equivale a essere un analfabeta funzionale che non riesce a leggere gli argomenti in discussione o in malafede. E temo che, per molti nostri politici, la seconda ipotesi sia quella esatta. Secondo, sapete quanti migranti sono arrivati in Italia da inizio anno, più o meno? Circa 18.500, dati del Viminale. E sapete nello stesso periodo quanti ne ha accolti la Germania? Circa 82.500. E si tratta di due Paesi più o meno equivalenti a livello demografico ed economico, non stiamo parlando della Grecia o di Malta. Quindi, capite da soli che scatenare la guerra che il governo sta muovendo contro l’Europa per 150 persone della Diciotti, a fronte dei numeri reali, appare strumentale. A cosa? Terzo, al giochino delle tre carte che il governo pensa di fare da qui a ottobre. Sapete infatti perché l’ineffabile ministro Di Maio continua a parlare di 20 miliardi come cifra di contributo dell’Italia all’Ue che si dovrebbe bloccare per rappresaglia, pur sapendo che non si tratta dei numeri esatti e che, soprattutto, si andrebbe in aperta violazione dei Trattati, quindi prima ritorsione sarebbe – casualmente – un drastico calo degli acquisti da parte della Bce, tanto per mostrarci l’effetto che fa lo spread sopra quota 350 e rotti? Perché 20, casualmente, è la cifra che operando in deficit rispetto alle promesse elettorali in sede di Def ci porterebbe poco al di sopra del 3%, un obiettivo che, nonostante il “no” del ministro Tria e il quasi veto silenzioso già posto dal Quirinale, il governo ha già deciso di sfondare.
Conferma ne è il fatto che lo stesso Giancarlo Giorgetti, un moderato raziocinante sempre più a disagio, ha dichiarato in un’intervista che molto probabilmente quel parametro verrà superato. Se mandano avanti lui, significa che vogliono vedere se il canarino nella miniera muore o no: ovvero, se l’Europa risponde con minacce o finge di non sentire. Certo, se poi si dà vita a pagliacciate come quelle degli ultimi giorni per una questione di mero principio e di ritorno elettorale, è difficile che i Moscovici di turno riescano a far passare la linea morbida nei nostri confronti, perché – se vogliamo essere onesti – di occhi chiusi ne abbiamo beneficiato parecchio negli ultimi anni (se poi abbiamo buttato la flessibilità ottenuta in mancette elettorali e misure una tantum inutili, difficile dare la colpa alla Merkel o a Moscovici, cosa dite?).
Certo, poi ci lamentiamo che diamo troppo all’Europa, rispetto a quanto riceviamo indietro: scordandoci, contestualmente, del fatto che buona parte di ciò che otteniamo come fondi strutturali vanno a scadenza senza che siano utilizzati. Colpa della Germania, se abbiamo istituzioni e amministratori incapaci che non sanno utilizzare il denaro di cui potrebbero beneficiare? Ma si sa, in questo Paese si ragiona con la pancia, non con la testa, si va a ondate emozionali. E, infatti, ecco che il governo ha immediatamente fatto lavorare la parte di cervello che sovraintende la furbizia, mettendo in conto di utilizzare il caos Diciotti non per una seria presa di posizione che contempli il veto sul budget Ue in discussione come sarebbe sacrosanto fare (e come solo sabato in tarda serata Conte ha prospettato, inascoltato come al solito), ma una generica e molto popolana minaccia di non pagare più il dovuto.
E sapete come si sostanzierà questa minaccia, nei fatti? Sforando il 3% in sede di Def per finanziare, almeno in fase prodromica come contentino all’elettorato, flat tax e reddito di cittadinanza e caricando di significato politico anti-europeista quella decisione, in modo da garantirsi fin d’ora l’appoggio di schiere di cittadini irretiti dalla retorica del governo, ben disposti anche a vedere lo spread a 350, perché riterranno quell’impennata non frutto di una manovra economica folle in partenza, ma la vendetta dell’Europa matrigna dei vincoli e dell’egoismo. Cui bisogna opporsi, come su un’immaginaria, nuova linea del Piave, per citare uno slogan che risuonava ovunque durante gli anni di Tangentopoli. Un film perfetto. E perfettamente scritto, visto che casualmente sul finire dello scorsa settimana, il ministro Paolo Savona – quello che a detta di qualcuno avrebbe ribaltato l’Europa come un calzino, Bce in testa – ha rilasciato un’allarmatissima intervista nella quale caricava ulteriormente di toni cupi la previsione già avanzata a inizio mese da Giancarlo Giorgetti. Ovvero, prepariamoci perché i mercati bombarderanno. E pesantemente.
Il perché lo faranno, però, ovviamente è meglio non dirlo. Perché altrimenti tutta la retorica da capro espiatorio che la nomenklatura sovranista sta spacciando al popolo dal giorno dell’insediamento di questa armata Brancaleone andrebbe in pezzi, così come il consenso costruito con tanta fatica. Allarme dopo allarme, propaganda dopo propaganda, balla dopo balla. Preparatevi, cari amici e lettori, perché stiamo per entrare di diritto in quello che sarà un misto fra Truman Show e Matrix. E non ci vorrà molto, fidatevi. Sono alla frutta e, stante la situazione, si tenterà il tutto per tutto. Senza esclusione si colpi. Né rigurgiti di decenza.
(1- continua)