L’avvicendamento alla direzione generale di Bankitalia. La presa di posizione della vigilanza Bce (a guida italiana) sulle fusioni bancarie nell’eurozona. La decisione della Corte di giustizia Ue sui presunti aiuti di Stato alle banche italiane in dissesto. Nell’arco di ventiquattr’ore sembra davvero essere accaduto qualcosa, una cosa molto importante: le “autorità creditizie italiane” – da sempre sinonimo di Banca d’Italia – hanno ritrovato un ruolo perduto da anni, in modo ormai apparentemente irrimediabile.
La rinuncia di Salvatore Rossi alla propria ricandidatura alla direzione generale di via Nazionale è una dimostrazione di forza, non di debolezza. Rossi (che dal 2011 è il primo collaboratore del governatore Ignazio Visco, reggendo anche l’Ivass, l’authority del settore assicurativo), facendosi da parte in autonomia, consente a Bankitalia di confermare la sua indipendenza nella scelte di governance. Governatore e Direttorio non saranno obbligati a sostituire il vicedirettore generale Pietro Federico Signorini, oggetto di una clamorosa “non fiducia” da parte del Governo al momento della possibile riconferma. Ora invece il vertice Bankitalia – sotto la vigilanza del Quirinale – potrà procedere senza interferenze alla sostituzione di Rossi: al quale è candidato il vicedirettore generale Fabio Panetta, finora rappresentante italiano nel Consiglio di supervisione Bce. (C’è dell’altro nel passo indietro di Rossi e va ancora a onore dell’interessato e della Banca d’Italia: c’è la presa di coscienza che palazzo Koch non può continuare a difendersi in retroguardia, ma deve tornare a guidare il processo di ricostruzione del sistema finanziario italiano ed europeo nel dopo-crisi).
Alla vigilanza Bce, nel frattempo, il nuovo capo – l’italiano Andrea Enria – è stato protagonista di una sortita non del tutto attesa è scontata. In un’intervista al Financial Times, Enria si è pronunciato contro nuove fusioni bancarie europee finalizzate alla creazione di altri “campioni nazionali”: un accenno tutt’altro che velato ai colloqui di aggregazione appena iniziati in Germania fra Deutsche Bank e Commerzbank. La presa di posizione – da parte del riservato ex presidente dell’Eba – ha avvertito Berlino che è fuori strada se pensa di risolvere le proprie crisi bancarie interne ignorando o violando le direttrici sviluppate dall’Unione bancaria: favore sia per le aggregazioni transnazionali, sia per le soluzioni “di mercato”, in ogni caso per i piani che tengano chiaramente lontano dal tavolo ogni forma di intervento statale.
Terza e non ultima, nelle stesse ore è giunta la sentenza della Corte di Giustizia Ue contro il controverso dispositivo dell’Antitrust Ue che aveva contrastato come “aiuto di Stato” l’intervento del Fondo interbancario italiano nelle quattro risoluzioni di fine 2015 (Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti). Non è detto che l’Azienda-Italia possa pretendere e recuperare i danni sul piano finanziario: ma il fatto che il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, abbia fatto propria l’istanza la dice lunga sul quale credito politico-diplomatico possa potenzialmente giocare l’Italia al tavolo della ricostruzione della Ue.
È un credito alla cui formazione ha contribuito in modo decisivo la graduale critica tecnica sollevata dalla Banca d’Italia sulla normativa bail-in. Un ulteriore tassello della rinascita di Bankitalia come asset del sistema a Paese.