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Home » Lavoro » Pensioni » INCHIESTA/ Così le pensioni mandano in tilt i conti pubblici

  • Pensioni

INCHIESTA/ Così le pensioni mandano in tilt i conti pubblici

Ugo Arrigo
Pubblicato 10 Gennaio 2014
Inps_PannelloR439

InfoPhoto

Ieri l’Istat ha diffuso i dati relativi al Conto Consolidato delle Amministrazioni Pubbliche. UGO ARRIGO li analizza per noi nel dettaglio, scoprendo dettagli molto interessanti

I conti pubblici italiani sembrano andare meno bene sia rispetto a pochi mesi fa che rispetto alle previsioni per l’intero anno appena concluso. È quanto emerge dai dati relativi al Conto Consolidato delle Amministrazioni Pubbliche resi noti ieri dall’Istat sino al terzo trimestre del 2013 qualora opportunamente aggregati e interpretati. Come già osservato in precedenti occasioni, questi dati trimestrali Istat sono molto interessanti e in grado di fornire parecchie indicazioni, a condizione tuttavia di interpretarli senza farsi fuorviare da talune apparenze. In primo luogo, poiché le entrate e uscite pubbliche sono soggette a fenomeni di stagionalità, abbiamo preso l’abitudine di utilizzare l’anno mobile, aggregando per ogni voce i dati di quattro trimestri consecutivi. In tal modo si esamina un bilancio dell’aggregato delle Amministrazioni pubbliche calcolato sempre su 12 mesi: nel nostro caso, illustrato nei grafici seguenti, i 12 mesi terminanti a settembre 2013 confrontati con i 12 mesi terminanti a giugno 2013 e così via a ritroso.


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In secondo luogo, appare preferibile, data la fase economica recessiva, esaminare i dati delle entrate e uscite pubbliche nei loro valori assoluti anziché in rapporto al Pil, che è in diminuzione anche in termini nominali. In terzo luogo, è molto utile valutare le singole grandezze di spesa pubblica ed entrate accanto ai loro saldi perché in questo modo si riescono meglio a spiegare i cambiamenti nei saldi medesimi. Mentre l’abitudine che si è consolidata dopo il Trattato di Maastricht prevede di valutare i saldi di finanza pubblica in rapporto al Pil, noi facciamo l’esatto contrario: siamo molto più interessati alle grandezze che determinano i saldi e ai loro cambiamenti in valore assoluto anziché in rapporto al Pil perché in questo modo riusciamo a tracciare un quadro di finanza pubblica molto più ricco di informazioni.


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Seguendo questo metodo, il primo grafico riporta la dinamica delle entrate totali della PA, delle uscite totali e quelle totali al netto delle spesa per interessi (le cosiddette uscite primarie).

Le principali informazioni desumibili dal grafico 1, che copre un arco temporale di sette anni a partire dal 2007, dunque prima che si manifestassero i segnali della prima recessione, sono le seguenti:

1) Quando iniziò la prima fase recessiva nel II trimestre 2008 la spesa pubblica primaria e totale era in crescita, tendenza che è proseguita ma senza accentuarsi durante il biennio recessivo 2008-09. In esso, tuttavia, le entrate sono calate di una ventina di miliardi, per effetto dei minori imponibili imputabili alla recessione, che sommati a una maggior spesa di circa 30 miliardi hanno determinato un peggioramento del disavanzo pubblico su base annuale di una cinquantina di miliardi (da -40 a -90 miliardi circa).


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2) A partire dal IV trimestre 2009 la spesa pubblica italiana, sia primaria che totale, è stata tuttavia drasticamente stabilizzata mentre le entrate, con la fine della recessione, hanno ripreso lentamente a crescere. Il disavanzo si è stabilizzato in questo modo a poco più di 60 miliardi. A metà del 2011, con le entrate in lieve crescita e la spesa stabilizzata, la finanza pubblica italiana risultava la migliore da molto tempo a quella parte, sicuramente dall’inizio della recessione del 2008.

Grafico 1 – Le principali grandezze di finanza pubblica (dati cumulati di 4 trimestri espressi in milardi di euro)


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3) A questo punto, avendo stabilizzato la spesa, bastava aspettare che un po’ di crescita facesse riprendere il gettito. Invece l’instabilità politica diede l’avvio ai timori dei mercati e all’esplosione dello spread. Nella seconda metà del 2011 i due governi in carica, per tranquillizzare i mercati, fecero manovre di finanza pubblica per oltre 80 miliardi in un triennio e per oltre 5 punti di Pil. Dopo il III trimestre 2011 l’aumento del costo del debito ha fatto nuovamente crescere la spesa pubblica totale, ma non quella primaria, che è stata anzi ridotta, riuscendo a compensare almeno in parte la maggior spesa per interessi. Nel corso del 2012 si assiste inoltre a un notevole incremento delle entrate, questa volta dovuto alle drastiche manovre del 2011, mentre nell’anno il Pil si riduce in termini reali e anche nominali.


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4) Nel corso del 2013 emergono tuttavia nuove tendenze, non certo rassicuranti: la spesa pubblica primaria ha ripreso a crescere in valore assoluto, nonostante un’inflazione rapidamente declinante. Non accadeva dal lontano 2009. Nei primi tre trimestri l’incremento è stato su base annua di quasi 5 miliardi. Nel terzo trimestre si sono inoltre ridotte le entrate complessive per oltre 4 miliardi. I due fattori hanno determinato congiuntamente un peggioramento sensibile del disavanzo pubblico: nei 12 mesi terminanti a giugno 2013 era stato pari a 42 miliardi di euro, con circa 5 miliardi di miglioramento rispetto ai 12 mesi terminanti a marzo; nei 12 mesi terminanti a settembre è invece salito a quasi 49 miliardi, con un peggioramento di circa 7 miliardi.


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Che cosa è avvenuto per quanto riguarda le tre principali voci di entrata: le imposte dirette, le indirette e i contributi sociali? Vediamole nel grafico 2.

 

Grafico 2 – Le tre principali voci di entrata (dati cumulati di 4 trimestri espressi in miliardi di euro)

 

Come si può osservare, tutte e tre le voci risultano in riduzione nei 12 mesi terminanti a settembre rispetto ai 12 mesi terminanti a giugno. Il fenomeno si verifica per la prima volta per quanto riguarda le imposte dirette e questo può essere dovuto a scelte specifiche del legislatore fiscale (minor gettito per Imu), ma purtroppo si verifica, per la prima volta da quando sono rilevati i dati, anche per i contributi sociali sul lavoro e in questo caso la causa non può che essere, a parità di aliquote contributive, la riduzione della massa salariale su cui essi sono calcolati. In netta riduzione infine il gettito delle imposte indirette: 5 miliardi in meno su base annua rispetto all’anno 2012.

Per quanto riguarda in dettaglio le voci di spesa, esse sono riportate nei due grafici seguenti (grafico 3 e grafico 4).

 

Grafico 3 – Le due maggiori voci di spesa pubblica (dati cumulati di 4 trimestri espressi in miliardi di euro)

 

 

Il grafico 3 evidenzia come la spesa per stipendi pubblici sia rimasta stabile tra il 2009 e il 2011 sui circa 170 miliardi annui e si sia invece ridotta successivamente, attestandosi in ultimo a 165 miliardi annui. Invece la spesa previdenziale è tutt’altro che stabilizzata, essendo cresciuta di oltre 70 miliardi negli ultimi sei anni, con un incremento complessivo del 27%. Nell’ultimo anno essa è aumentata di 2 miliardi al trimestre, risultando l’unica voce di spesa in costante crescita. Infatti, anche le rimanenti voci di spesa pubblica registrano tendenze favorevoli:

1) La spesa per acquisti di beni e servizi è stabile su 90 miliardi annui dal 2009;

2) Le altre uscite correnti dopo essere state fermate a 100 miliardi annui nel 2010 sono ora scese a 96;

3) La spesa in conto capitale è stata drasticamente ridotta di quasi 20 miliardi su base annua dal 2009 a oggi (e questa non è necessariamente una buona notizia).

4) La spesa per interessi sul debito, grazie all’attenuazione dei tassi, si colloca ora su 82 miliardi annui dopo essere salita sino a 85 alla fine del 2012.

 

Grafico 4 – Le altre maggiori voci di spesa pubblica (dati cumulati di 4 trimestri espressi in miliardi di euro)

 

In sede di conclusioni bisogna dunque osservare che la spesa pubblica italiana appare sotto controllo in tutte le sue voci, in quanto stabilizzate o in diminuzione, tranne la spesa previdenziale che è tuttavia quella più consistente e che non ci si può permettere di lasciare inalterata nelle sue tendenze nel prossimo futuro.

Invece le entrate sono in riduzione per effetto soprattutto delle recessione che è stata prodotta dall’inasprimento fiscale del 2011. Aliquote più alte hanno inizialmente portato a un gettito maggiore, ma successivamente a una riduzione degli imponibili che è doppiamente deleteria perché oltre a segnalare la riduzione del Pil abbassa anche il gettito. Per far riprendere l’economia e con essa anche il gettito bisogna seriamente pensare a smontare le deleterie manovre del 2011 e a ridurre selettivamente le aliquote fiscali.

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