Twitter ha introdotto le spunte blu a pagamento dal 1° aprile e gli editori hanno già iniziato a manifestare il proprio dissenso. In passato, infatti, il certificato era un simbolo di credibilità e affidabilità per i media. Adesso, ad averlo non saranno i più attendibili, bensì quelli che, come riportato da Le Figaro, salderanno il canone da 950 euro al mese. A quello aziendale, inoltre, andrà aggiunto quello da 50 euro per ogni giornalista dipendente. Una spesa che viene ritenuta insostenibile.
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Le Monde, il New York Times e il Los Angeles Times, così come altri quotidiani di calibro internazionale, hanno annunciato che si rifiutano di pagare i loro abbonamenti così come quelli dei loro giornalisti. Altri, come quelli del gruppo Vox Media, hanno deciso che pagheranno per certificare i propri canali istituzionali ma non quelli dei propri dipendenti. L’Agence France-Presse sta ancora valutando il da farsi, ma ha affermato che “se necessario si adatterà”. “Elon Musk vuole rendere Twitter uno spazio a due velocità, dove solo chi paga ha voce in capitolo”, ha invece denunciato Christophe Deloire, segretario generale di Reporter senza frontiere.
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Editori contro Twitter per spunte blu a pagamento: la protesta
Gli editori di tutto il mondo si stanno domandando come comportarsi di fronte all’inserimento delle spunte blu a pagamento su Twitter e su come continuare ad utilizzare il social network. In molti vorrebbero parlare con un esponente dell’azienda per comprendere quale sia l’offerta dietro all’abbonamento da ben 950 euro al mese proposto ai media, ma dall’altra parte non sembrerebbe esserci molta disponibilità. L’offerta allo stato attuale viene vista come un vero e proprio ricatto di Elon Musk.
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Le somme in ballo d’altronde sono ingenti, soprattutto per le realtà editoriali più grandi. Una con 100 giornalisti, ad esempio, dovrebbe pagare ben 70 mila euro annui. Per avere quale riscontro? Non è ancora dato saperlo.