La ministra Eugenia Roccella spiega l'idea alla base dell'introduzione dei femminicidi come reato, criticando che sostiene l'educazione sessuale a scuola

È un discorso a tutto tondo sul sempre più importante tema dei femminicidi che parte della recentissima legge che ha introdotto l’apposito reato e che arriva fino alle critiche mosse dal movimento ‘Non una di meno’ quello fatto dalla ministra per la Famiglia e le pari opportunità Eugenia Roccella sulle pagine del Messaggero, lanciandosi anche in un riferimento all’educazione sessuale nelle scuole; il tutto – però – partendo dal sottolineare che l’introduzione del reato nel Codice civile “è un segnale forte” utile non tanto per introdurre l’ergastolo, quando per “differenziare il femminicidio dal consueto omicidio” per la sua natura che affonda le radici “nella differenza uomo-donna e nella cultura che produce il senso di possesso”.



Analogamente all’introduzione del reato – precisa Roccella – il testo include anche misure per “informare le donne [su] quanto accade durante tutto l’iter giudiziario”, specifici obblighi di formazione interni alla “scuola superiore di magistratura” che si uniscono al “libro bianco per la formazione sulla violenza di genere, destinato a tutti gli operatori” e all’imminente “Testo unico sulla violenza contro le donne” che sarà utile per “facilitare la conoscenza e l’accesso alle norme” innanzitutto per le vittime.



Eugenia Roccella: “Forzare la lingua e l’educazione sessuale non servono contro i femminicidi”

D’altra parte, dal suo punto di vista Roccella ci tiene a mettere in chiaro che dal punto di vista della repressione ai femminicidi ben poco potrebbe fare l’educazione sessuale fortemente voluta dall’opposizione: a dimostrarlo – spiega la ministra – sono i “dati europei” che mostrano chiaramente che “nei Paesi dove c’è l’educazione sessuale nelle scuole non c’è un calo” reale dei casi di femminicidio e proprio in tal senso va inserita l’idea di insistere “sull’educazione al rispetto” da parte di “Valditara e [della] Fondazione Cecchettin”.



Similmente, secondo Roccella sarebbe inutile “intervenire dall’alto forzando l’uso linguistico” di parole come ‘ministra’, ‘presidentessa’ e ‘sindaca’ perché dal suo punto di vista è la lingue che “segue il costume” e non viceversa; mentre in chiusura un pensiero è andato anche al corteo ‘Non una di meno’ che ha accusato la ministra di essere transfobica: accuse sbagliate dal suo punto di vista perché “dire che il femminismo parte dall’avere un corpo sessuato di donna” non è necessariamente sinonimo di transfobia; mentre criticando “l’uso delle shwa o degli asterischi” come una sorta di “subdola forma di patriarcato” di chi vuole “eliminare il femminile”, auspica anche in un “confronto sereno” con le associazioni femministe che vada oltre “la russa e l’insulto”.